Sul “Foglio” di venerdì scorso, Giampiero Mughini, in un appassionato amarcord dedicato alle edicole, scrive:
“Erano gli ultimi decenni del Novecento e i primissimi del terzo millennio. Chi andava in edicola acciuffava l’Espresso dei tempi migliori, la cavalcata iniziale di Repubblica, i giornali che si inventava Vittorio Feltri, il Panorama che Claudio Rinaldi aveva reso un’architettura perfetta, la costruzione del Foglio e cento altri tra esperimenti e tentativi e velleità. (…) Non c’è più gara tra la forza comunicativa dei giornali di carta e i social i cui canali sono in azione 24 ore su 24. Una qualsiasi sciocchezza pronunciata a voce alta sui social desta un’eco maggiore di quella che mezzo secolo fa suscitavano gli articoli del sommo Indro Montanelli”.
In gioco, però, nel quadro tratteggiato dalla penna di Mughini, non c’è solo il malinconico eclissarsi di un mondo che fu, ma molto di più: in gioco, in un certo senso, c’è la qualità e la sopravvivenza delle democrazie liberali.
E’ questa la tesi di fondo di Enrico Pedemonte, giornalista e scrittore, per anni una delle colonne di quell’ “Espresso dei tempi migliori” ricordato da Mughini nonché, last but not least, prezioso ospite della nuova puntata di “Economia per tutti”.
Con Enrico abbiamo affrontato un tema insistentemente circumnavigato da EpT nelle ultime settimane sull’onda anche, ma non solo, delle elezioni USA: gli effetti prodotti dai social media sulla società odierna.
Effetti rovinosi, a detta di Pedemonte, che al tema delle piattaforme digitali ha dedicato un illuminante volume, “La fattoria degli umani” (edizioni Treccani).
La crisi della tradizionale informazione imperniata sui tradizionali giornali di carta, è la tesi del nostro ospite, travolge anche una narrazione della realtà che si muoveva, anche con interpretazioni ferocemente opposte, entro una base informativa comune, condivisa. I media tradizionali avevano tutti la medesima agenda informativa, davano rilievo tutti alle stesse informazioni ed uno dei più crudeli giochi del giornalismo d’antan era la ricerca di chi avesse preso un “buco”, mancando di dare questa o quella notizia.
Con l’avvento dei social, e con l’affermazione delle loro irresponsabilità giuridica rispetto a quanto gli utenti scrivono (rectius postano), si afferma un ecosistema informativo radicalmente diverso: saltata la mediazione nel racconto del reale propria dei giornali di carta, ogni dubbio diventa censura e i social offrono come materiale informativo ad ognuna delle millanta micro-tribù, in cui le dinamiche radicalizzanti e polarizzanti del web hanno diviso l’opinione pubblica, esclusivamente ciò che ciascuna micro-tribù vuole vedere e sentire.
Gli esiti di tutto ciò, racconta Enrico, sono evidentissimi da vent’anni a questa parte: il numero delle democrazie si assottiglia, cresce la sfiducia verso i governi, la conflittualità esplode nel pianeta entro e tra i vari paesi, mentre aumenta esponenzialmente il numero di persone che letteralmente vivono nel loro smartphone e sono convinte di trascorrere la peggior vita possibile.
Che fare? La risposta di Pedemonte è che si debba partire dal superamento del dogma secondo i quale le piattaforme digitali sono le uniche aziende al mondo la cui attività non può né deve essere regolamentata. Anche perché la nuova e più devastante novità ha già abbondantemente girato l’angolo per invadere le nostre vite ed alterare ulteriormente, in senso potenzialmente antidemocratico, il nostro modo di informarci: è l’AI con alcuni suoi pericolosissimi software.
Di questo e di modo altro si racconta nella puntata in questione. Ragione in più per sintonizzarvi sulla vostra piattaforma preferita.
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