Il calendario detta l’agenda e, in qualche misura, pure la scaletta di “Economia per tutti”.
Fino a sabato sera, fino cioè alla Caporetto in terra tedesca degli azzurri di Spalletti, il calendario più compulsato dagli italiani era quello degli Europei di calcio. Anche noi abbiamo deciso, quindi, di onorare la festa, seppur alla maniera nostra.
Puntata perciò dedicata all’ “economia del calcio”.
“Ormai è tutto un business”, ripetono sconsolati gli ultimi tifosi idealisti, e forse non sanno neppure quanto il loro disilluso rammarico si avvicini alla realtà.
Il calcio è un business, ovviamente, ma con alcuni tratti del tutto peculiari.
Su tutti, il particolare rapporto contrattuale che lega i datori di lavoro, le società calcistiche, e i lavoratori del settore: i calciatori, il motore primo dell’industria del calcio.
I contratti di lavoro del mondo del calcio, infatti, sono decisamente atipici. Il pensiero corre subito, in questo senso, a certi stratosferici “stipendi”, ma in realtà non risiede qui la particolarità. Il tema vero è che i contratti del pallone, tutti rigorosamente a tempo determinato, vincolano le parti in maniera molto asimmetrica. La chiave di tutto è la durata pluriennale dei rapporti, presupposto della negoziabilità dei giocatori, del mitico calciomercato che occupa le cronache pallonare nei periodi, altrimenti insostenibili per gli appassionati, di calcio non giocato, ma solo parlato.
Ma che la durata dei contratti rappresenta, in realtà, un vincolo solo per le società. Dal lato del calciatore, infatti, per superare questo vincolo è sufficiente che si presenti un altro datore di lavoro interessato alle sue prestazioni, gli offra un ingaggio adeguato e paghi alla società proprietaria del cartellino l’indennizzo già previsto nel contratto in caso di risoluzione anticipata da parte del giocatore. Il tutto non senza e non prima che il procuratore del calciatore abbia lucrato una stellare provvigione per aver reso operativo un meccanismo già contrattualmente sancito.
La proposta che vi illustriamo nella nostra chiacchierata settimanale muove proprio dall’idea che questa asimmetria vada sanata. Non già, pero’ nella direzione che potrebbe apparire più scontata, ossia quella di una maggiore tutela delle società. No, si tratta di prendere realisticamente atto che al centro di tutto vi sono i giocatori e che le società non sono altro che le infrastrutture che consentono di mettere in scena la loro performance. Basta dunque con vincoli, per gli atleti, che rimangono solo sulla carta. La regola diventi il contratto per una sola stagione al termine del quale il calciatore è padrone del proprio mercato ed il “calciomercato” sia appunto la piattaforma di negoziazioni dirette tra giocatori e società.
Razionale, no? Fin troppo, tanto che le prime ad opporsi ad una simile rivoluzione copernicana sarebbero proprio le società sportive. Il motivo è semplice: l’interscambio dei giocatori ha un ruolo fondamentale nel far quadrare i bilanci di queste peculiari imprese, il “gioco”, che vi raccontiamo, delle pluvalenze reali o fittizie (ma del resto chi può stabilire il “prezzo giusto” di un calciatore? Forse un giudice?) è ormai una droga irrinunciabile in un settore che non riesce a reggersi sulle tradizionali voci di entrata (diritti tv, merchandising, biglietti).
Ora siete scoraggiati non solo come tifosi della nazionale, ma anche per questo faro acceso sui conti del calcio? Vi serve un buon vino, magari un vino coltivato in una terra con una storia molto particolare? Noi pensiamo a tutto, lo sapete, purchè andiate a carcarci sulla vostra piattaforma preferita:
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Giulio Massa
Economia del calcio - Europei 2024