La settimana dell'Alieno #93
Rassegna delle notizie economico-finanziarie del 22 Aprile - 2 Maggio 2025
PIL americano in rallentamento
L'economia statunitense si è contratta nello scorso trimestre: il PIL USA segna -0,3% su base annua, al di sotto delle aspettative degli economisti ed è la prima volta dal 2022 che si è registrata una contrazione. Vediamo le dinamiche che hanno trascinato al ribasso il PIL americano.
Le imprese statunitensi si aspettavano di dover pagare dazi molto elevati sulle importazioni, hanno anticipato gli acquisti dall'estero. Il risultato è stata la prima contrazione del PIL da diversi anni a questa parte anche se la domanda interna degli Stati Uniti è rimasta abbastanza resistente nei primi tre mesi di quest'anno.
Per la cronaca, il Presidente Trump ha scritto sui social che l’indebolimento dell’economia non ha nulla a che fare con le tariffe, ma è “colpa di Biden”. In effetti il fatto che l'import faccia aumentare o diminuire il PIL dipende dall'uso che si fa del prodotto importato (ovvero degli effetti indiretti sull'attività economica produttiva). Durante il primo mandato di Trump, ad esempio, la guerra commerciale provocò un calo delle importazioni che di fatto fece diminuire il PIL.
Quando sentiamo che l'economia si sta contraendo, questo suona piuttosto spaventoso. Ma ci sono due modi di vedere la cosa. Se si guarda allo stato di salute dell'economia nazionale, gli Stati Uniti sembrano ancora piuttosto forti. La gente continua a spendere. C'è però anche un altro messaggio. I dazi hanno già provocato molto caos economico, questo dato si riferisce ai primi tre mesi dell'anno, mentre l’ormai famigerato cartellone con le “tariffe reciproche” è stato esposto il 2 aprile. Quindi la maggior parte degli economisti prevede che il caos che abbiamo visto in questo trimestre a causa delle tariffe continuerà. E questo influenzerà non solo le entrate, ma anche la spesa interna.
Questo segnale di rallentamento economico non avrà alcun impatto immediato sulla Fed, che ha già chiarito che il dato del PIL del 1° trimestre dice molto poco sul tipo di lettura che vogliono fare dell'economia nazionale per decidere se tagliare o meno i tassi di interesse.
Ora, i funzionari della Fed probabilmente guarderanno un po' di più a ciò che dicono i dati sui prezzi, sull'inflazione e sulle aspettative di inflazione.
Surrealismo economico
Il 29 aprile Amazon ha smentito la notizia secondo cui avrebbe pianificato di elencare i costi delle tariffe del presidente Donald Trump accanto ai prezzi totali dei prodotti, dopo che la Casa Bianca ha attaccato Amazon e Jeff Bezos.
Questa è l'economia del 2025: non più un mercato, ma un palcoscenico. Un luogo dove regna il surrealismo economico, dove la narrazione, la percezione e il potere prevalgono sulla logica di base dell'economia.
Con surrealismo economico intendo che l'economia smette di funzionare come sistema razionale per l'allocazione delle risorse e si trasforma in un teatro, con tanto di copioni, attori e interazione con il pubblico (soprattutto attraverso i social network).
I mercati sono sempre stati vulnerabili alla distorsione narrativa e alla manipolazione della realtà. Ciò che è diverso ora è la velocità, la scala e la sofisticazione con cui la realtà economica può essere letteralmente prodotta. Il caso di Amazon è emblematico:
Punchbowl News ha pubblicato un articolo sulla idea di Amazon di mostrare la percentuale del prezzo di un articolo derivante dai dazi, proprio accanto al costo del prodotto, rendendo visibile l’impatto della politica nei prezzi. La Casa Bianca si è immediatamente infuriata, con l'addetto stampa che l'ha definita un “atto ostile e politico”.
“Perché Amazon ha fatto questo, quando l'amministrazione Biden ha aumentato l'inflazione al livello più alto degli ultimi quattro anni?
Comunque non è una sorpresa: sappiamo che Amazon collabora con la propaganda cinese”.
Leavitt ha tenuto in mano una copia stampata di un articolo di Reuters del 2021 che descriveva come Amazon si fosse conformata a un'ordinanza di divieto di valutare il libro del presidente cinese Xi Jinping, pubblicato dal governo, sul sito web cinese di Amazon.
Trump ha telefonato a Bezos (nonostante Bezos non sia più amministratore delegato) e gli ha detto di risolvere il problema. Dopodiché Trump ha detto che Bezos è un “bravo ragazzo” e “ha risolto il problema molto rapidamente”.
Anche senza teste di cavallo non sembra comunque un romanzo di Mario Puzo? Amazon smentisce addirittura di aver mai pensato di fare una cosa del genere, che non si pensi che l'amministrazione Trump stia minacciando le aziende.
“Il team che gestisce il nostro negozio a bassissimo costo Amazon Haul ha preso in considerazione l'idea di elencare le spese di importazione su alcuni prodotti. Questo non è mai stato approvato e non accadrà”.
Quindi i dazi, di cui il governo si vanta con orgoglio perché dovrebbero sostituire le imposte sul reddito, non devono essere esposti. Il copione è sempre il “solito”: annuncio, smentita, e infine intervento politico “personale” ai massimi livelli.
La realtà economica deve diventare una narrazione, le aziende, i governi e le tecnologie rivelano o oscurano selettivamente le condizioni economiche, la maggior parte delle persone non sa chi paga effettivamente i dazi (non è la Cina). Chi controlla ciò che è visibile controlla di fatto la realtà economica stessa, ed è questo che conta davvero.
Il Segretario al Commercio Howard Lutnick può raccontare che un dazio del 10% non aumenterebbe i prezzi, una cosa economicamente analfabeta o deliberatamente fuorviante, perché la percezione pubblica viene costantemente distaccata dai fatti economici, l’uso della menzogna è incessante e spudorato.
E questo danneggia profondamente l’economia, perché genera incertezza, sfiducia e induce gli attori economici a prendere decisioni non ottimali.
Il Segretario al Tesoro Scott Bessent ha dichiarato che 18 Paesi hanno presentato proposte commerciali agli Stati Uniti, mentre l'amministrazione sta negoziando accordi che potrebbero includere la riduzione dei dazi. Con India, Corea del Sud e Giappone si va verso la definizione di accordi in merito.
Impatti economici in USA
Le aziende americane iniziano a fare i conti dei costi dei dazi e utilizzano le conferenze stampa per la pubblicazione delle loro trimestrali per lanciare l'allarme: più del 90% di esse ha menzionato i dazi, quasi la metà ha usato il termine "recessione", con un enorme aumento rispetto al trimestre precedente.
Le associazioni di categoria a Washington hanno sollevato preoccupazioni sui dazi, ma molte singole aziende e i loro dirigenti sono stati molto cauti. Perché temono ritorsioni da parte del Presidente Trump e potenzialmente rischiano di alienarsi i clienti che sono sostenitori del Presidente. Per questo gli incontri con gli analisti e gli investitori sono l'occasione per discuterne.
Giovedì PepsiCo ha ridotto le previsioni sugli utili di quest'anno, sottolineando in particolare gli effetti delle tariffe e dell'incertezza economica e affermando che il sentimento dei consumatori ha subito un vero e proprio crollo negli ultimi mesi. Le preoccupazioni per i dazi si estendono a una vasta gamma di settori, non solo a quello dei consumi. PulteGroup, uno dei principali costruttori di case negli Stati Uniti, ha detto che i dazi potrebbero aggiungere circa 5.000 $ al prezzo di vendita di una nuova casa.
Amazon ha pubblicato una guidance più debole del previsto per il secondo trimestre. Il gigante tecnologico ha dichiarato un utile operativo compreso tra 13 e 17,5 miliardi$ nel trimestre in corso. Wall Street puntava su 17,7 miliardi$. Amazon importa circa un quarto degli articoli che vende dalla Cina, che ora gli Stati Uniti tassano almeno al 145%. Amazon sta cercando di negoziare forti sconti con i suoi fornitori per cercare di attenuare gli effetti. Il prezzo delle azioni della società è sceso di circa il 5% nelle contrattazioni after-hours di ieri.
In alcuni casi si registra già un calo della spesa per i consumi, come conseguenza del calo dei valori azionari. I consumatori stanno riducendo le spese e questo si traduce in una riduzione delle previsioni di vendita e/o di profitto delle aziende. Ma è interessante anche il fatto che alcune aziende non cambiano le loro previsioni per l'anno in corso perché la politica tariffaria della Casa Bianca ha subito oscillazioni troppo rapide: “non sappiamo quale sarà la politica tariffaria domani o la prossima settimana o tra sei mesi".
Le aziende e settori da tenere d'occhio nelle prossime settimane saranno la grande distribuzione (Walmart, Target e Home Depot) e sarà interessante anche vedere i risultati delle aziende automobilistiche statunitensi Ford e GM, poiché l'industria automobilistica è stata coinvolta nelle correnti incrociate dei dazi, sia quelli sulle auto che quelli sull'acciaio e sull'alluminio. E come i rivenditori, sono un barometro della salute dei consumatori.
Questa newsletter ha due edizioni settimanali (ogni venerdì la Settimana dell’Alieno, scritta da
Andrea, e ogni lunedì quella sulla puntata del podcast
Economia per Tutti, scritta da
Giulio.
Andrea
Talvolta ad “scappa” una terza edizione sporadica, di approfondimenti specifici. Puoi trovare l’
archivio integrale delle newsletter precedenti qui.
Impatti economici in Cina
Non sono solo le aziende statunitensi ad essere state colpite dai dazi. Le fabbriche cinesi stanno rallentando la produzione e licenziando alcuni lavoratori. Molte aziende americane stanno annullando gli ordini e le linee di produzione sono sotto pressione.
Un'ampia gamma di prodotti, dalle suole delle scarpe ai blue jeans, dalle prese elettriche alle stufe portatili, sono in un momento difficile: hanno tipicamente molti ordini diretti negli Stati Uniti, e ora hanno bisogno dell’aiuto del supporto pubblico affinché metta in atto politiche per aiutare le fabbriche colpite. Ma molte di queste fabbriche finiranno per chiudere se questa guerra commerciale continuerà: la stima oggi è che nel 2025 salteranno 10 milioni di posti di lavoro in Cina e se i dazi al 145% (ora ridotti, con l’aggiunta dell’esclusione momentanea per smartphone e altri prodotti elettronici) resteranno, il calo di posti di lavoro potrebbe cumulare oltre 100 milioni nei prossimi anni.
La ritorsione della Cina sono dazi del 125% per la maggior parte dei prodotti statunitensi e per ora i cinesi tengono duro. Ferie obbligate e aspettativa sono le soluzioni del momento. Il portavoce del commercio cinese ha dichiarato che la Cina vuole vedere annullate tutte le tariffe unilaterali imposte alla Cina prima di poter avviare davvero i negoziati.
Molte fabbriche in Cina stanno cercando di passare dall'esportazione all'estero alla vendita sul mercato interno. E questo sarà più fattibile per alcuni e meno per altri. Poi, ovviamente, stanno guardando all'Europa: molte merci cinesi a basso costo saranno destinate a deflazionare l'Europa.
Il fatto che alcune fabbriche cinesi cerchino di vendere i loro prodotti sul mercato interno aggraverà i problemi di sovraccapacità che l'economia cinese sta già affrontando. Il Paese sta attraversando una crisi immobiliare, con un continuo calo dei valori degli immobili. Negli ultimi due anni, quindi, l'economia si è affidata alle esportazioni per produrre crescita. La guerra commerciale sta quindi ostacolando il modello di crescita cinese.
Negli Stati Uniti, la mancanza di prodotti peggiorerà i problemi di inflazione e alcuni analisti (qui sopra uno schema proposto da Apollo) pensano che, se la situazione continuerà, in estate ci saranno scaffali vuoti e recessione.
Scaffali vuoti
I tempi della pandemia e dei lockdown sono ormai lontani, ma gli squilibri tra domanda e offerta potrebbero presto tornare. Attualmente sono circa le navi da carico che attraversano il Pacifico dalla Cina verso gli USA sono in calo di circa il 40% rispetto a un mese fa.
Secondo una valutazione che i dirigenti dei gruppi della grande distribuzione (Walmart, Home Depot e Target) le merci non saranno disponibili quando saranno necessarie.
Il direttore esecutivo del Porto di Los Angeles ritiene che la tregua di 90 giorni concessa dalla Casa Bianca per i dazi non sia sufficiente agli importatori americani per apportare cambiamenti significativi negli approvvigionamenti.
“Stiamo iniziando a vedere un rallentamento del flusso di merci verso il porto di Los Angeles. Prevedo che tra due settimane gli arrivi caleranno del 35%, poiché sono cessate essenzialmente tutte le spedizioni dalla Cina per i principali rivenditori e produttori. E i flussi di merci in arrivo dalle località del sud-est asiatico sono molto più deboli del normale, con le tariffe ora in vigore.
Le prenotazioni per le esportazioni, in particolare per i prodotti agricoli statunitensi, stanno diminuendo a un ritmo ancora più veloce di quello a cui stiamo assistendo per le importazioni. Ci sarà una forte riduzione del lavoro per gli scaricatori di porto e i camionisti americani nelle prossime settimane.”
L'International Longshore & Warehouse Union, che rappresenta i lavoratori portuali in California, ha recentemente rilasciato una dichiarazione in cui afferma che le tasse sulle importazioni di Trump stanno danneggiando le persone che la Casa Bianca intende aiutare.
“Queste tariffe non sono altro che un attacco diretto alla classe operaia e devono essere assolutamente contrastate”
Al porto di Long Beach, nel secondo trimestre sono già state cancellate 34 partenze di navi portacontainer, di cui 30 per i mesi di maggio e giugno, rispetto alle sole otto del periodo aprile-giugno del 2024.
I vettori di container hanno ridotto la capacità, anche se apparentemente non abbastanza da fermare un calo dei tassi a breve termine. Il costo per spedire un container a Los Angeles da Shanghai è sceso del 23% rispetto all'anno scorso. La domanda allentata è così grave che si sospetta impatterà nella stagione dello shopping natalizio. Lo stesso Trump ha iniziato a dire che
“a Natale le bambine invece di trovare 30 bambole ne troveranno 2 e magari i loro genitori dovranno pagarle qualche dollaro in più, e vabbé”
Come manovra per proteggere i colletti blu e far rinascere la manifattura negli Stati Uniti sembra sub-ottimale.
Accordo USA-Ucraina sulla ricostruzione
Dopo settimane di parole, è stato siglato un accordo tra Stati Uniti ed Ucraina per la costituzione di un fondo destinato alla ricostruzione del Paese dopo i bombardamenti russi. Il fondo si basa su un accordo tra le due nazioni relativo ai materiali critici presenti in Ucraina. Di seguito i punti dell’accordo:
La piena proprietà e il controllo delle risorse rimangono all'Ucraina.
Sarà lo Stato ucraino a stabilire cosa e dove estrarre. Il sottosuolo rimane di proprietà ucraina.Partenariato paritario su base 50/50. Il fondo sarà gestito congiuntamente dall'Ucraina e dagli Stati Uniti. Nessuna delle due parti avrà un voto dominante.
Non altera i processi di privatizzazione o la gestione delle aziende statali, che rimarranno ucraine. Aziende come Ukrnafta ed Energoatom rimarranno di proprietà dello Stato ucraino.
L'accordo non prevede obblighi o altre forme di debito dell'Ucraina nei confronti degli Stati Uniti. La sua attuazione consente a entrambi i Paesi di espandere il proprio potenziale economico attraverso una cooperazione e investimenti paritari.
L'Accordo è conforme alla Costituzione e mantiene il percorso di integrazione europea dell'Ucraina, non è in conflitto con gli obblighi internazionali dell'Ucraina, e invia ai partner globali il segnale che la cooperazione a lungo termine con l'Ucraina non solo è possibile, ma è anche affidabile.
Il Fondo sarà finanziato esclusivamente da NUOVE licenze: il 50% delle entrate derivanti da nuove licenze nel campo dei materiali critici, del petrolio e del gas - generate dopo la creazione del Fondo - saranno destinate ad esso, mentre non saranno inclusi i ricavi dei progetti esistenti o quelli già contabilizzati nel bilancio. L'Accordo delinea anche la futura cooperazione strategica.
Gli Stati Uniti contribuiranno ad attrarre ulteriori investimenti e tecnologie attraverso l'agenzia DFC. Questo ci aiuterà ad attrarre investimenti e tecnologie dagli Stati Uniti, dall'UE e da altri partner internazionali che sostengono la lotta dell'Ucraina contro l'aggressore russo.
Il trasferimento e lo sviluppo tecnologico sono una parte fondamentale dell'accordo, perché l'Ucraina ha bisogno non solo di capitali, ma anche di innovazione.L'Accordo prevede garanzie fiscali: i contributi del Fondo non saranno tassati né negli Stati Uniti né in Ucraina, garantendo la massima efficacia del processo di investimento.
📌 Come funzionerà il Fondo?
Gli Stati Uniti contribuiranno al Fondo attraverso dotazioni di capitale (contributi finanziari diretti) o assistenza materiale, ad esempio sistemi di difesa aerea per l'Ucraina. L'Ucraina contribuirà con il 50% delle entrate del bilancio statale derivanti dai canoni di locazione di licenze nuove per aree nuove. La cooperazione è destinata a durare decenni.
Il Fondo investirà in progetti di estrazione di materiali critici, petrolio e gas, nonché nelle relative infrastrutture e lavorazioni. I progetti di investimento specifici saranno selezionati congiuntamente dall'Ucraina e dagli Stati Uniti. Il Fondo potrà investire esclusivamente in Ucraina.
Per i primi 10 anni i profitti e le entrate del Fondo non saranno distribuiti, ma reinvestiti in Ucraina, in nuovi progetti o nella ricostruzione.
Gli Stati Uniti con questo accordo affermano il loro impegno per una pace a lungo termine in Ucraina e riconoscono il contributo dell'Ucraina alla sicurezza globale, compresa la sua decisione di rinunciare alle armi nucleari, in continuità con quanto sancito nel memorandum di Budapest, oggi violato dalla Russia.
Giappone
La giapponese Toyota Motor vuole delistare la sua controllata Toyota Industries, una delle sue divisioni. Questa notizia ha mandato in fibrillazione i mercati azionari di Tokyo questa settimana. L'operazione avrebbe un valore di 42 miliardi $ e gli investitori scommettono che potrebbe rivedere l'intero panorama aziendale giapponese.
Il Giappone è una realtà che sta suscitando un crescente interesse da parte del private equity, perché ci sono enormi discrepanze tra la valutazione, la realtà e le idiosincrasie del mercato giapponese. Il caso Toyota è di grande interesse per gli investitori che guardano al Giappone: vedere la più grande azienda, la più famosa azienda del Giappone, in prima linea con un pezzo molto significativo di riorganizzazione aziendale è qualcosa che altre aziende potrebbero cercare di emulare. E gli investitori sono molto contenti di vedere questa pressione sugli amministratori delegati di tutto il Giappone.
Dapprima i prezzi delle azioni di molte società legate a Toyota sono saliti molto rapidamente. Ma anche alla periferia di questo fenomeno si sono registrati movimenti molto significativi dei prezzi delle azioni di società con strutture simili, grandi aziende industriali giapponesi come Sumitomo Electric e altre, che hanno filiali quotate in borsa. L'idea è che la pressione degli azionisti e altri fattori si siano combinati per spingere il management a ripensare il modo in cui è stato impostato e strutturato il tutto.
L'idea è quindi che nei prossimi mesi si verifichino molte operazioni, man mano che il Giappone si riorganizza per essere un po' più favorevole agli azionisti e forse un po' più ordinato in termini di corporate governance.
L'aspetto interessante è che, a differenza di altre operazioni a cui abbiamo assistito, in cui le grandi banche giapponesi sono state un po' riluttanti a concedere prestiti, stavolta sembra che tutto sia molto più semplice. E con il supporto finanziario delle banche, l’ambito del potenzialmente realizzabile si allarga.
Banche europee
UBS, Société Générale, Barclays e Deutsche Bank hanno reso noti gli utili questa settimana. I loro ricavi da trading sono aumentati a causa della volatilità dei mercati globali: per UBS, la sua attività di intermediazione è salita di oltre un terzo, raggiungendo la cifra record di 2,5 miliardi. Poi c'è SocGen in Francia, i cui ricavi da trading sono saliti dell'11%. Questo è stato trainato soprattutto dalle attività azionarie. Infine, Barclays a Londra ha registrato un aumento del 16% dei ricavi da trading. Gli utili hanno superato le loro aspettative per il trimestre.
Non è un segreto che il primo trimestre di quest'anno non sia stato un granché per i mercati. Il lato dell'investment banking, che consiste nel fornire consulenza su operazioni come le IPO, le raccolte di capitali, le attività di M&A ha sofferto l'incertezza creata dalla politica erratica di Trump in materia di dazi doganali. Ma sul fronte della negoziazione, c'è stata una tonnellata di attività mentre gli investitori cercavano di navigare in questo mercato molto volatile ed è stata questa volatilità che ha aiutato tutte queste banche e i loro bracci di negoziazione a produrre ricavi molto significativi durante questo periodo, in modo molto simile a quello che abbiamo riportato nella scorsa edizione della newsletter da JPMorgan, Goldman Sachs, Morgan Stanley, Bank of America e Citigroup. Insieme, hanno generato 37 miliardi$ di ricavi da trading nel trimestre. Sebbene in Europa non si registrino cifre così elevate, la tendenza è certamente la stessa.
È un trend destinato a continuare? All'inizio di aprile sono stati annunciati i dazi di Trump nel cosiddetto "giorno della liberazione". da lì è seguita un'intensa attività, ma nelle ultime settimane abbiamo assistito a un certo raffreddamento. Quindi, sebbene ci sia stata una certa impennata nelle prime settimane di aprile, probabilmente ora ci stiamo assestando su un mercato più normalizzato.
Lusso in crisi
Le cose si mettono male per il settore del lusso. Il 2020-2021 doveva essere un anno disastroso a causa della pandemia. Negozi chiusi, dove il 95% dei beni di lusso è ancora venduto. Poi però il revenge spending ha portato molte a concedersi beni di lusso, c'era una sorta di FOMO e il lusso ha avuto un paio d'anni fantastici proprio grazie all'effetto post-Covid.
Poi è arrivata un'inflazione molto pesante. Gran parte della crescita dei risultati del lusso in quei due anni, tra l'altro, non è stata dovuta solo alla vendita di tonnellate di borse, ma anche all'aumento dei prezzi. Una borsa di Chanel costa oggi circa il doppio di quanto costava prima del Covid, e i prodotti non sono diversi.
Ora però dalla Cina sta arrivando una vera e propria invasione di video via social che dicono:
“posso dire che il lusso è una presa in giro? Mi è permesso dirlo? Non c’è motivo di spendere così tanti soldi in beni che possono essere comprati identici ma senza logo a prezzi che stanno in proporzioni di 20 a 1”.
La ripresa della Cina post-COVID non è stata forte come in Occidente e con l’arrivo di Trump la svolta di “comprate direttamente da noi” è giunta inesorabile. Alcuni marchi del secondo e terzo livello del lusso stanno esaminando attentamente le loro catene di approvvigionamento e hanno già spostato la produzione dalla Cina alla Turchia nelle ultime due settimane.
Nessuno ha bisogno del lusso, sono consumi che le persone tendono a fare quando si sentono fiduciosi per l'economia, quando il mercato azionario è in crescita, quando i prezzi degli immobili sono alti. Bruno Pavlovsky, presidente di Chanel, dice: “Possiamo quasi prevedere il livello di affluenza nei nostri negozi negli Stati Uniti in base all'andamento del mercato azionario di quella settimana.”
Se la Borsa americana va male, anche la vendita delle borse nei negozi ne risente. Gli analisti di Bernstein si aspettavano che le vendite del lusso sarebbero aumentate del 5% quest'anno e ora prevedono un calo del 2%.
E in termini di aziende specifiche, le azioni LVMH hanno subito un duro colpo questa settimana, ma è andata molto peggio a Kering, proprietaria di Gucci, che in questo momento è tra i designer. Mentre il resto dell'industria del lusso ha subito un rallentamento negli ultimi due anni, loro hanno registrato un calo delle vendite piuttosto marcato. Le azioni di Prada hanno subito un colpo perché non sono considerate lussuose come quelle di Hermès. Burberry è un'altra azienda che sta cercando di risollevarsi da molto tempo e non riesce a trovare pace. Anche in questo caso, i loro prodotti hanno prezzi eccessivi. E poi ci sono Ralph Lauren negli Stati Uniti, Michael Kors e tutti coloro che sono più esposti a un consumatore un po' più attento ai prezzi, più influenzato dall’effetto ricchezza dei mercati finanziari.
Hermès, un'azienda monomarca, la scorsa settimana ha superato LVMH (che ha circa 80 marchi) come azienda di lusso di maggior valore al mondo. Hermès si rivolge a un consumatore di fascia molto più alta rispetto ai due marchi principali di LVMH: Vuitton, che è responsabile della metà dei suoi profitti, e Dior, il suo marchio numero due.
Il settore moda e pelletteria per questo trimestre, come da ultimo aggiornamento di metà marzo, prevedeva una crescita dell'1%, invece è calato del 5%. Con i dazi la situazione peggiorerà.
Drill, baby, drill
Le principali compagnie petrolifere mondiali si preparano ad affrontare l’anno più difficile dalla pandemia di Covid, a causa del calo dei prezzi del petrolio che riduce i profitti e mette in discussione la fiducia degli investitori. Dopo il picco del 2022 legato alla guerra in Ucraina, gli utili delle cinque maggiori società occidentali (ExxonMobil, Shell, TotalEnergies, Chevron e BP) sono scesi di circa 90 miliardi $ tra il 2022 e il 2024.
Il settore è sotto pressione anche per l’aumento della produzione da parte dell’Opec e per le tensioni commerciali inasprite sotto la presidenza Trump. Il prezzo del Brent è sceso temporaneamente sotto i 60 $/barile, con previsioni di ulteriori cali nella seconda metà del 2025.
Gli investitori si chiedono quali aziende sapranno mantenere alti dividendi e riacquisti di azioni nonostante il contesto difficile. Eni, ad esempio, ha annunciato tagli alla spesa per 500 milioni $ e prevede un flusso di cassa inferiore del 15%, ma manterrà i rendimenti agli azionisti.
Tutte le compagnie stanno riducendo gli investimenti, con previsioni di un calo della spesa nello sviluppo upstream per la prima volta dal 2020. I risultati trimestrali in arrivo saranno osservati con attenzione, ma ciò che conta davvero sarà la guida per i mesi futuri.
Shell appare più solida, con piani di distribuzione dividendi anche in caso di petrolio a 40 $/barile. Al contrario, BP sembra più vulnerabile, soprattutto perché i suoi ritorni agli azionisti sono legati a un prezzo di 71,50 $/barile, e ogni dollaro in meno costa circa 340 milioni di utili.
Negli Stati Uniti, ExxonMobil è più resiliente di Chevron, che potrebbe ridimensionare i suoi programmi di riacquisto di azioni.
I produttori di shale oil avvertono che condizioni più rigide si profilano all’orizzonte se i prezzi rimarranno bassi: il loro punto di break-even è in area 55$/barile, e potrebbero decidere di sospendere l’attività.
Riformare il mondo
Il segretario al Tesoro degli Stati Uniti, Scott Bessent, ha chiesto una riforma per il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale durante un discorso all'Institute of International Finance.
Il FMI e la Banca Mondiale hanno un valore duraturo. Ma dobbiamo attuare riforme fondamentali per garantire che le istituzioni di Bretton Woods non vadano fuori strada, siano al servizio dei loro stakeholder e non il contrario.
Il senso del suo intervento è “Non siamo soddisfatti di come sono andate le cose. Vogliamo che vi concentriate sulle cose fondamentali per cui siete stati creati e che vi allontaniate da questioni come il clima, le questioni di genere, le questioni sociali e che torniate davvero alle basi”, ovvero la stabilità finanziaria e la cooperazione economica globale.
La preoccupazione principale del FMI e della Banca Mondiale è che gli Stati Uniti, che sono i maggiori azionisti delle istituzioni, possano ritirarsi. Questa infatti era l'idea contenuta nel manifesto conservatore Project 2025, che alcuni vedono come il libro di testo dell'amministrazione Trump.
Ora questo, insieme ai periodici attacchi di Trump all'indipendenza della Fed e al fatto che Bessent abbia sminuito la probabilità di un peggioramento delle cose tra Stati Uniti e Cina in materia di commercio, dà la sensazione che, anche se le cose sono piuttosto negative per l'economia e i mercati globali in questo momento, potrebbero andare ancora peggio.
Franco Svizzero
Il franco svizzero ha raggiunto un massimo decennale rispetto al dollaro (0.80 CHF per dollaro), a causa della fuga degli investitori verso asset sicuri in un contesto di crescenti tensioni commerciali globali.
Questo rafforzamento rischia di provocare una nuova fase deflazionistica per la Svizzera e sta spingendo gli analisti a ipotizzare che la Banca Nazionale Svizzera (BNS) debba abbassare i tassi d’interesse fino allo 0% o addirittura sottozero.
I rendimenti dei titoli di Stato svizzeri a breve termine sono scesi in territorio negativo, e i rendimenti a due anni sono passati marginalmente sotto lo zero, segnalando aspettative di tagli dei tassi. La BNS ha già ridotto il tasso di riferimento allo 0,25% e un ulteriore taglio è visto come una soluzione meno rischiosa dal punto di vista diplomatico rispetto a un intervento diretto sui mercati valutari.
Il contesto è complicato anche dalla minaccia di nuovi dazi da parte degli Stati Uniti, con cui la Svizzera ha un forte legame commerciale (oltre il 10% delle esportazioni svizzere sono destinate agli USA). A inizio mese sono stati imposti dazi "reciproci" del 31% sui beni svizzeri, sospesi poi per 90 giorni.
La Svizzera è stata inserita nella lista USA dei “manipolatori valutari” alla fine del primo mandato Trump a causa degli interventi post-pandemia, salvo poi essere rimossa sotto Biden. Oggi la Svizzera teme di finire nuovamente sotto accusa dalla Casa Bianca se intervenisse per indebolire la propria moneta.
Curiosità
Persuasivi come una AI
Come vano le cose a chi usa la AI come psicoterapista?
Se volete cimentarvi, c’è un concorso di scrittura teatrale con in palio dei biglietti in poltronissima.
In occasione del Primo Maggio ho letto la veloce storia di Eos, dea dell’Aurora, scritta da
. Originale, spiritosa, arricchente (in un mondo economicamente più incerto, investire su noi stessi ha ancora più senso)Un buon weekend in musica, con l’album Stoosh degli Skunk Anansie, quando ho realizzato che fra poco compirà 30 anni mi sono sentito improvvisamente vecchio:
Riguardo la questione PIL Usa, ho letto l'interessante pezzo del Prof. Sabatini:
https://fabiosabatini.substack.com/p/il-pil-negativo-e-altri-orrori-dellinformazione
"L’import non ha “bruciato” proprio nulla, ci mancherebbe. I beni importati, che per definizione sono prodotti all’estero, non possono ridurre il PIL, che per definizione misura il prodotto interno lordo: ovvero il valore monetario dei beni e servizi prodotti all’interno del territorio nazionale, al lordo degli ammortamenti.
L’equivoco nasce dalla formula che si trova in tutti i manuali di economia – o su Wikipedia, su cui probabilmente studiano alcuni giornalisti economici:
Pil = Consumi + Investimenti + Spesa pubblica + Esportazioni – Importazioni
Questa relazione è un’identità contabile. Il fatto che le importazioni compaiano nella formula con il segno meno non significa, controintuitivamente, che sottraggano qualcosa al Pil. Sembra che le importazioni vengano sottratte, ma solo perché sono già incluse nei consumi, negli investimenti e nella spesa pubblica.
[...] Per capire meglio cosa accade, consideriamo il significato dei termini presenti nella formula:
I consumi comprendono i beni di consumo prodotti per i consumatori più i beni di consumo che si importano per i consumatori.
Gli investimenti includono i beni capitali prodotti per le imprese più i beni capitali che si importano per le imprese.
La spesa pubblica è costituita dai beni prodotti per il governo più i beni che si importano per il settore pubblico.
La differenza tra esportazioni e importazioni rappresenta tutto ciò che si esporta (per i consumatori, le imprese e i governi esteri) meno i beni importati per i consumatori, le imprese e il governo.
Poiché la formula del PIL serve a calcolare quanto viene effettivamente prodotto sul territorio nazionale, e dato che le importazioni sono già conteggiate nei primi tre termini dell’addizione, l’ultimo termine le sottrae. Questo evita che il valore del Pil venga gonfiato in modo improprio e assicura che l’effetto complessivo di quanto prodotto all’estero sia, correttamente, pari a zero.
[...] Non è facile determinare con precisione quale parte del valore di ciò che consumiamo e investiamo sia costituita da beni importati. Per questo, le agenzie governative nemmeno ci provano: si limitano a sottrarre le importazioni alla fine dell’equazione, in modo tale che le importazioni incluse nei consumi, negli investimenti e nella spesa pubblica vengano compensate."
Effettivamente la sezione economia del corriere della sera aveva dato interpretazione diversa della formula indirettamente dando ragione a Trump:
https://www.corriere.it/economia/finanza/25_aprile_30/perche-l-economia-usa-e-solida-ma-il-pil-e-in-calo-0-3-la-formula-che-spiega-tutto-e-il-paradosso-dei-dazi-di-trump-ce99a33f-4018-4a3d-aedf-a63982464xlk.shtml
"Come fa, quindi, un forte aumento delle importazioni ad avere un impatto così negativo sulla crescita? Per spiegare l’arcano dobbiamo riaprire i libri di economia e ricordare la formula di base del prodotto interno lordo, che misura il valore dei beni e servizi finali prodotti all’interno di un Paese, cioè:
Pil = C+I+G+ (X-M)
La formula dice il Pil è dato dai consumi (C), più gli investimenti (I), più la spesa pubblica (G) più le esportazioni (X) meno le importazioni (M).
Le esportazioni si sommano, perché rappresentano beni «nostri» venduti all’estero. Le importazioni invece si sottraggono perché, pur essendo consumate internamente, non sono prodotte a livello nazionale.
Se quindi le aziende americane acquistano grandi quantità di computer, farmaci o automobili dall’estero, questi non entrano nel Pil, ma il loro valore viene sottratto al totale, perché non riflettono produzione domestica. Ed è esattamente quello che è successo nel primo trimestre del 2025. "
L'articolo di seguito scritto un paio di mesi fa (ben prima del liberation day) approfondisce quanto scritto da Sabatini.
https://grafici.altervista.org/composizione-del-pil-secondo-il-metodo-dei-beni-finali/
Probabilmente non è stata adeguatamente catturata la variazione proattiva ante dazi della variabile "scorte" che rientra all'interno dell'equazione.