La settimana dell'Alieno #66
Rassegna delle notizie economico-finanziarie del 30 settembre - 4 ottobre 2024
La Banca Centrale delle Banche Centrali
Dalla Banca dei Regolamenti Internazionali arriva un suggerimento spassionato: “non indossate gli occhiali rosa”.
Siamo in una fase di allentamento delle condizioni monetarie, ma a causa dei conflitti, dei cambiamenti climatici e delle tensioni commerciali, le banche centrali dovranno alzare i tassi di interesse “con più forza” durante le prevedibili future ondate di inflazione.
In questo nuovo mondo in cui viviamo esiste un nuovo rischio stabile: le interruzioni del lato dell'offerta dell'economia
Raccolti danneggiati da eventi atmosferici.
Blocchi dei lavoratori (come quello nei porti USA di questi giorni).
Minore circolazione internazionale delle merci.
Chiusure delle raffinerie di petrolio.
Tutti elementi che potranno essere “più rilevanti e più frequenti” a causa dell'aumento del rischio geopolitico, di inondazioni e siccità più diffuse e di una “transizione a ostacoli” verso tecnologie più ecologiche.
“A volte sarà necessario un forte inasprimento monetario per garantire che le aspettative di inflazione rimangano ancorate”.
L'invecchiamento della popolazione renderà più scarsa la manodopera disponibile e le crescenti barriere alla globalizzazione renderanno più difficile il commercio internazionale nel suo ruolo di ammortizzatore delle pressioni inflazionistiche interne alle singole economie.
La fiducia delle persone nella stabilità della moneta è stata intaccata in questi anni e ciò può portare a cambiamenti improvvisi nel comportamento delle famiglie e delle imprese che portano a focolai di inflazione e al suo radicamento.
Già nel 2010 la BIS (Bank for International Settlements) aveva messo in guardia le banche centrali dai pericoli di un'adozione troppo prolungata di tassi d'interesse bassissimi, un avvertimento che alla prova dei fatti si è dimostrato lungimirante.
Abbiamo finalmente visto il momento “pivot” sui tassi USA, ed è iniziato il ciclo dei tagli dei tassi, ma è improbabile un ritorno a tassi vicini a zero, con crescita anemica e disinflazione costante. Più facilmente siamo all’inizio di una nuova era, in cui i tassi resteranno in una banda con valori minimi superiori a 1% o forse 2%, la crescita economica dovrà essere più sana e il livello di inflazione sarà non trascurabile e occasionalmente tornerà a farci preoccupare.
Occorre allineare alcuni macro-elementi per farsi un’idea:
L’invecchiamento della popolazione mondiale sposterà una discreta massa di denaro dai consumi (specialmente quelli durevoli) al risparmio.
La spesa pubblica è destinata a crescere molto: con popolazioni più anziane avremo più spesa previdenziale e sanitaria, e meno investimenti privati, mentre servono risorse per la transizione energetica (urgente ma non sempre redditizia), un po’ ovunque sta salendo la spesa per la Difesa, servono case, infrastrutture e bisogna ricostruire le catene di fornitura (reshoring).
La pressione fiscale dovrà quindi salire, e spostarsi sul reddito da capitale, sui risparmi. In modo diretto, o in modo indiretto (tassi reali negativi).
L'impennata dei deficit e dei debiti fiscali, il manuale insegna, produrrà inflazione.
Abbiamo imparato di recente che questo implicherà un aumento dei tassi d'interesse nominali solo quando la fiducia nella capacità delle Banche Centrali di raggiungere gli obiettivi d'inflazione iniziasse ad erodersi: il ritardo avuto dalle Banche Centrali nel rialzare i tassi è stato voluto, basta guardare ai rapporti debito/PIL degli Stati per capire quanto l’inflazione sia stata “utile” a scaricare sui risparmiatori un bel pezzo del problema “eccesso di spesa”.
Ma Banche Centrali poco solerti ad alzare i tassi significa anche Banche Centrali più energiche nei rialzi quando questi diventeranno inderogabili. Da qui esce il riferimento della BIS al rischio di dover alzare i tassi di interesse “con più forza” durante le prevedibili future ondate di inflazione.
Le valutazioni azionarie statunitensi correnti garantiscono un premio molto ridotto, se confrontato con il rendimento offerto dai Treasury (i titoli di Stato USA), evidentemente per dimostrarsi giustificati occorrerà vedere i tassi scendere mentre gli utili devono continuare crescere a ritmi elevati, in particolare per quelle aziende del settore tech che si sono ritagliate una specie di monopolio nella lunga catena del valore che va dai materiali, ai chip, alla AI e alle sue applicazioni software.
La traiettoria degli ultimi decenni è stata quella di una costante crescita di produttività, ma lo scenario è molto cambiato (la globalizzazione ha subito duri colpi), le valutazioni azionarie sembrano incorporare l’idea che riusciremo a spingere la produttività fino al punto in cui il costo marginale di numerosi beni e servizi sarà quasi azzerato, in una nuova era dell’abbondanza, e fare profitto sarà un lusso riservato ad un numero decrescente di soggetti.
Rimbalzo cinese
Il mercato azionario cinese ha registrato ieri la sua giornata migliore dalla crisi finanziaria del 2008: +8,5%, a coronamento di un rally fenomenale da oltre +20% complessivo iniziato la scorsa settimana, quando Pechino aveva annunciato un massiccio pacchetto di stimoli (taglio dei tassi d'interesse, sostegno al settore immobiliare e - appunto - aiuto al mercato azionario).
Non è la prima volta che si vedono certi exploit: in 6 mesi, tra il 2014 e il 2015, il mercato azionario cinese ha raddoppiato il suo valore.
Una settimana di enormi guadagni azionari non dice che l'economia sia sulla strada di una corrispondente ripresa. All'inizio dell'anno, Pechino ha cercato di frenare il crollo dei mercati cambiando il capo dell'autorità di Borsa: le azioni sono salite, per poi tornare a scendere. Ad oggi siamo ancora a -30% dal 2021.
L'esperienza giapponese (che ugualmente si inabissò per una crisi immobiliare) ci fornisce una prospettiva: l'indice Nikkei 225 è rimbalzato quattro volte (in media del 34%) in un trend di calo cumulativo del 66% negli anni '90.
I dubbi sull'economia cinese riguardano i consumi e come si sistemeranno le finanze delle province, che si basavano sulle vendite di concessioni edilizie, con cui finanziavano i servizi pubblici.
Quindi la cosa da vedere sono gli utili aziendali: aumentano o no? Se non aumentano, questo rimbalzo di borsa sarà solo un fuoco fatuo.
E finora le previsioni sugli utili per azione si sono solo stabilizzate rispetto ai tagli delle stime di inizio anno.
C’è però un’area in cui la Cina è in chiara accelerazione: le energie rinnovabili, cosa che ha provocato, con le economie di scala che la Cina produce, un vero e proprio crollo del costo di queste tecnologie. Che a sua volta consente alla Cina di realizzare progetti sempre più grandi a costi sempre più bassi.
Xi Jinping ha fissato, nel 2020, gli obiettivi di decarbonizzare completamente l'economia entro il 2060 e di raggiungere il picco delle emissioni intorno al 2030. E in ossequio al dirigismo che caratterizza le economie centralizzate, la Cina ha puntato tutto sulla produzione verde ad alta tecnologia, rendendola una grande industria nazionale, orientata anche alle esportazioni e a ricevere investimenti esteri.
Il paradosso è che la Cina dipende ancora in modo massiccio dal carbone, da cui dipendono molti posti di lavoro, molti interessi statali e molti interessi acquisiti in termini di denaro e di investimenti che sono stati fatti in quel settore per molto tempo. Sarà quindi una vera sfida per Pechino. Ma se la Cina riuscirà a compiere questa inversione di rotta da grande inquinatore a leader dell'energia verde, l'indipendenza energetica diventerà più accessibile per tutti.
Eliminare la dipendenza globale dal petrolio del Medio Oriente o dal gas dalla Russia cambia completamente la geopolitica internazionale: la Cina si sta mettendo nelle condizioni di poter “vendere” al resto del mondo l’indipendenza energetica, nel ruolo di dominus delle catene di approvvigionamento delle tecnologie pulite.
Il conto sui conti pubblici
Il fragile nuovo governo francese di Michel Barnier ha annunciato un piano da 66 miliardi€ di riduzione della spesa e nuove tasse “temporanee".
Il governo Meloni in Italia ha preavvisato giovedì per bocca del ministro dell'Economia Giorgetti che tutti saranno chiamati a un sacrificio: famiglie e imprese, grandi e piccole.
Sta arrivando sul tavolo di molti paesi il conto della ingente spesa pubblica che è stata fatta negli ultimi anni, aggravata da un costo del debito in forte crescita, per effetto della risalita dei tassi nel.periodo 2022-2023 che sta progressivamente riflettendosi sulle nuove emissioni di debito pubblico e continuerà a farlo anche se i tassi scenderanno, visto che veniamo da un decennio di emissioni nate in un contesto di tassi zero.
Le promesse elettorali sono sempre di allargare la spesa (“come primo atto del nuovo governo metteremo mille euro sul conto corrente di ogni Italiano” recitava un slogan di Fratelli d'Italia) ma poi quando si governa la Realtà pretende un riscontro.
nei piani correnti del governo Meloni c'è un “bonus di Natale” da 100€ per le famiglie meno abbienti e un “perdono fiscale" da 4,5 miliardi€ per i redditi non dichiarati tra il 2018 e il 2022, che potranno essere saldati ad aliquote ridotte e senza penali di mora. Chi aderirà potrà anche anticipare le imposte sui prossimi due anni pagando una quota prefissata, indipendentemente da quali saranno in effetti i redditi futuri.
La narrativa della politica è quindi che le nuove imposte siano “estemporanee" , “una tantum", “occasionali", “temporanee", mentre le redistribuzioni procedono costanti. La realtà è che la pressione fiscale sale costantemente, mentre le elargizioni sono fatte a episodi, con tappi e cerotti.
E nel tempo ci si dimentica che la qualità della spesa pubblica conta più della sua entità: lo Stato deve occuparsi di spendere in Istruzione, Sanità, infrastrutture, questo prepara il paese ad un futuro migliore. Se invece si carica di debiti per elargire mance e condoni, apparecchia il tavolo per un futuro sempre più gramo.
La redditività dubbia della AI
OpenAI ha raccolto 6,6 miliardi$ di nuovo capitale dagli investitori, sulla base di una valutazione complessiva dell’azienda di 150 miliardi$. Tra gli altri, sono arrivati 500 milioni $ dalla giapponese SoftBank, che ha recentemente raddoppiato i suoi investimenti nell'AI ed è anche la proprietaria di maggioranza del progettista di chip ARM.
Molti investitori hanno investito nell'intelligenza artificiale e ora aspettano che queste aziende producano profitti.
Intanto Stripe, il gruppo fintech che si occupa di pagamenti (e a cui a breve verrà affidato il pagamento dell’abbonamento a questa newsletter), ha raccolto i dati delle 100 start-up native dell'AI con i maggiori incassi: queste aziende di AI stanno realizzando ricavi molto più rapidamente rispetto alle precedenti ondate di aziende di software.
Addestrare e costruire un modello di intelligenza artificiale è un'impresa molto costosa e la monetizzazione è urgente e necessaria. Per ora le imprese sono disponibili a pagare per sperimentare, per capire quali saranno i vantaggi a lungo termine dall’uso della AI nelle loro attività.
Ma oltre ai costi di setup, ci sono i costi di gestione, manutenzione ed aggiornamento, e per quelli sui clienti occorre fare un lavoro di fidelizzazione. Una volta che le persone pagano, ad esempio, un anno di abbonamento, bisogna fare in modo che rimangano fedeli, trovando un valore sufficiente per continuare a pagare.
OpenAI è una sfida ancora maggiore per gli investitori: formalmente è una società senza scopo di lucro a capo di una società a scopo di lucro. Gli investitori hanno una quota dei guadagni futuri, ma con rendimenti limitati a un certo livello. Annullare entrambe le caratteristiche non è un processo semplice, né dal punto di vista pratico né da quello politico. Così c'è un grosso rischio di disallineamento degli incentivi tra le varie annate degli investitori e del management dell’azienda (come Altman).
OpenAI mira a realizzare un fatturato di 100 miliardi$ da qui a cinque anni. Raddoppiando il prezzo della sua versione a pagamento di ChatGPT, servirebbero 200 milioni di clienti paganti (circa la metà di quelli che pagano per Office 365 di Microsoft). E non stiamo considerando l’aumento di costo dell'alimentazione e delle dotazioni hardware di modelli sempre più sofisticati.
OpenAI è valutata meno di Nvidia, rispetto ai ricavi. Ma mentre Nvidia fa robusti utili, OpenAI “brucia” 5 miliardi$ all'anno.
Per ora, OpenAI non è tanto un'azienda, quanto piuttosto un'idea (ancorché entusiasmante) e gli investitori che si lanciano in questa corsa dovranno trovare molte conferme prima di festeggiare un successo.
Decrescere vuol dire essere buoni?
Questa settimana ho avviato una conversazione su X
Interessante che tra le risposte ne sia giunta una che mi ha acceso una lampadina (o “aperto un cassetto della memoria”, come diceva Gerri Scotti qualche anno fa nel suo telequiz):
Lo scrittore ambientalista Mark Lynas nelle conferenze col pubblico chiede:
Immaginate che vi appaia davanti una fatina che promette di risolvere il problema del cambiamento climatico con un semplice colpo di bacchetta. Accettereste la sua offerta?
La maggior parte del pubblico rifiuta l'offerta, perché la percezione della dimensione del problema è tale che una soluzione rapida sarebbe palesemente un imbroglio. Nella mente di molti ambientalisti la soluzione non può prescindere dall’autoflagellazione: abbiamo peccato e bisogna espiare.
E’ facile ideologizzare e mescolare ambientalismo, razzismo, patriarcato come sfaccettature di un sistema di capitalismo e oppressione. Un’idra a molte teste, una lotta nobile ma frustrante perché quasi impossibile.
Probabilmente il calo di popolarità dei “Verdi” negli ultimi anni dipende proprio da questo: se metti insieme un senso di urgenza ansiogeno con provvedimenti di piccoli passi che richiedono costanza e adesione collettiva disciplinata si produce… apatia.
Scegliere come nome “Last Generation” per un movimento ambientalista non aiuta, si tratta di una retorica fuorviante che allontana chi è dotato di spirito critico, che peraltro è proprio il tipo di persona che si dovrebbe invece voler avvicinare. Così oggi il dibattito politico è tutto centrato sull’immigrazione.
Non è necessario che la transizione energetica ci renda poveri o inattivi. Il costante calo del prezzo delle infrastrutture per le energie rinnovabili dimostra che investimenti ed economie di scala che derivano dall’adozione massiva hanno prodotto risultati anche in questo campo.
Per avere capitale politico a sostegno della transizione occorre garantire energia abbondante, non rara. Servono investimenti, che vanno quindi incentivati e sussidiati (perché spesso poco redditizi, in sé e per sé). Dobbiamo riconsiderare il nucleare. Smettere di “vietare” ma semmai smuovere i comportamenti usando incentivi, invece che introdurre le accise sulle ricariche dei veicoli elettrici, perché le entrate risentono della transizione…
Le colture geneticamente modificate, in grado di resistere ai cambiamenti climatici, sono d’aiuto e non un nemico da abbattere con oscurantismo.
La lotta contro il cambiamento climatico e altre forme di degrado ambientale non sarà mai a costo zero. Nella vita, come in economia, si fanno dei compromessi. Non possiamo portare il mondo ad essere “come prima”, le condizioni mutano di continuo ed è l’adattamento l’arma segreta di ogni specie che ha schivato l’estinzione. Questo non significa che il mondo debba diventare “brutto”. Meglio togliersi il cilicio e impegnarsi per un'economia in crescita, che non ci faccia subire una riduzione di benessere, e sarà più facile affrontare qualunque compromesso adattivo saremo costretti a fare.
Difesa: un investimento sostenibile
In un sondaggio tra gli investitori è emerso che il 94% degli intervistati ritiene che gli investimenti nella Difesa siano perfettamente compatibili con i principi ESG. Sembra che, in un mondo di crescenti tensioni geopolitiche, gli investitori stiano cambiando opinione sulla Difesa e sul suo ruolo primario nella società e nella tutela dei diritti civili.
Analogamente, il 98% concorda sull'importanza di concentrare tali investimenti su società che operano in Stati geopoliticamente responsabili.
Scioperi dei portuali
Decine di migliaia di lavoratori portuali sulle coste orientali e del Golfo sono scesi in piazza il 01 ottobre, come preannunciato.
La disputa è sui salari e sull'automazione che i sindacati vorrebbero sostanzialmente abolire, anche se le mansioni che potrebbero essere “cedute" alle macchine sono pericolose.
Ancora una volta, un approccio luddista all'innovazione guarda ad un lato dei possibili effetti (riduzione di posti di lavoro) e non all'altro (l'automazione aumenta la dimensione della torta da spartire, nel caso di specie aumenta il numero di cargo che possono essere trattati sul singolo porto). Altrimenti, seguendo questa logica, rinunciamo ai muletti e iniziamo a spostare i bancali a mano, così serviranno molti più “posti di lavoro"…
Il primo sciopero di questa categoria di lavoratori in quasi cinque decenni ha provocato la chiusura di dozzine di porti dal Maine fino al Texas, che gestiscono complessivamente circa un quarto del commercio statunitense. Dal cibo alla medicina, fino all'elettronica di consumo.
Gli analisti di JPMorgan stimano che ogni giorno di sciopero potrebbe costare all'economia statunitense fino a 4,5 miliardi $, e se protratti a lungo questi scioperi possono provocare una crisi di offerta simile a quella vista con la pandemia. Nella notte fra giovedì e venerdì i portuali della costa est hanno accettato di sospendere lo sciopero fino al 15 gennaio prossimo, continuando a negoziare per un accordo contrattuale.
Quando il friend-shoring non basta
La Corea del Sud avrebbe dovuto essere uno dei beneficiari delle tensioni commerciali tra Cina e Occidente: gli Stati Uniti si sono resi conto di non voler dipendere dalle aziende cinesi per alcune tecnologie critiche, in particolare i semiconduttori, ma anche le batterie per i veicoli elettrici. Si tratta di due tecnologie difficili da produrre, in cui i coreani sono specializzati. Si pensava che le tariffe e le restrizioni all'accesso e all'esportazione di tecnologie da parte della Cina avrebbero quindi mandato gli acquirenti in Corea del Sud.
Infatti è successo: le esportazioni complessive della Corea del Sud sono aumentate mese dopo mese dall'ottobre dello scorso anno. Peccato siano emerse però delle fragilità inattese.
Dai settori più high-tech, come gli smartphone e i televisori, fino ai prodotti industriali pesanti, come l'acciaio e i prodotti petrolchimici, e persino il kimchi, un prodotto alimentare a basso prezzo tradizionalmente associato alla Corea, la competitività dei prodotti coreani è inferiore alle attese.
La Corea del Sud non ha mai potuto competere con le aziende cinesi sulla quantità, ma aveva un vantaggio sulla qualità. Aveva tecnologie più sofisticate, tecniche di produzione più avanzate. Ma ora, in quasi tutti i settori, le aziende cinesi hanno raggiunto o superato quelle coreane. Quindi il vero punto di forza della Corea sono le barriere commerciali e le restrizioni occidentali che proteggono i loro prodotti nei mercati occidentali.
Mercati occidentali a parte, se si considera la concorrenza globale, le aziende coreane sono destinate a soffrire, a meno che non riescano a migliorare la propria innovazione.
Digitalizzazione bancaria
Da quando gli operatori dei mercati finanziari hanno messo da parte i telefoni delle scene dei film anni ‘80 e ‘90 e avviato l’uso degli algoritmi, nuove e più agili società hanno capitalizzato il trading elettronico. E le banche d'investimento tradizionali faticano a tenere il passo.
Quando si pensa al trading a Wall Street, si pensa in genere alle grandi banche d'investimento tradizionali, a Goldman Sachs, JPMorgan, Morgan Stanley. Ma negli ultimi 15 anni abbiamo assistito alla nascita di società di trading meno note, ma sempre più potenti, che si sono accaparrate una fetta sempre più grande del mercato. Si tratta di società come Schwab, Citadel, RobinHood, Jane Street.
Citadel Securities, ad esempio, gestisce ogni giorno oltre 450 miliardi $ di scambi. Jane Street ora rappresenta più del 2% di tutto il trading in oltre 20 Paesi. Numeri davvero enormi.
La digitalizzazione degli ultimi 20 anni ha aperto un varco e queste società si sono tuffate su questo aspetto investendo molto nella costruzione della tecnologia necessaria per farlo. E la regolamentazione, dopo la crisi finanziaria del 2008 con tutte le restrizioni e vincoli imposte alle banche, ha facilitato le cose alle società di trading non bancarie, che non sono sottoposte alle stesse restrizioni e possono operare con maggiore libertà e flessibilità.
L'ascesa di queste società e l'importanza che assumono ogni giorno per il trading sono fonte di preoccupazioni per i rischi che potrebbero rappresentare per il sistema finanziario e la stabilità. Un aspetto che continua a emergere è la mancanza di chiarezza su come operano esattamente queste società e sulle loro dimensioni. Sono tutte aziende private, quindi non pubblicano gli utili trimestrali come fanno le grandi banche. Non comunicano alle autorità di regolamentazione la stessa quantità di informazioni finanziarie che fanno le grandi banche. C'è quindi una sensazione di incertezza in termini di rischi precisi che esse comportano.
In Italia, invece, la digitalizzazione bancaria ha portato conseguenze diverse, sempre dovute a una disparità di regolamentazione: emblematico il caso di Intesa che, insediata dalle tante banche online, nel tentativo di trovare competitività voleva chiudere migliaia di sportelli alleggerendosi di costi non necessari. Il regolatore prevede che per le banche tradizionali, debba sussistere una proporzione fra numero di clienti e copertura del territorio, di fatto bloccando il progetto di Intesa di dismettere filiali ed agenzie.
Il risultato è stato che Intesa ha “spinto” tantissimi piccoli clienti nel suo veicolo digitale, Isybank, per sgravarsi di una numerosità ingombrante e oggi il piano di Intesa prevede “finalmente” la chiusura di circa 7mila tra filiali ed agenzie.
Policy e futuro delle auto (elettriche)
Sono smartphone su ruote, secondo alcuni, le auto “intelligenti” connesse a Internet in circolazione in molti Paesi; e l'accesso remoto all'auto è una caratteristica sempre più comune. La prospettiva in un futuro prossimo è di vedere molti taxi senza conducente. Ma chi avrà (ha) accesso ai nostri dati di guida, alle nostre destinazioni e alle nostre auto?
La Casa Bianca ha deciso che le auto e la tecnologia cinesi sono una minaccia per la sicurezza nazionale, che potrebbe spiare i conducenti, e come una minaccia economica, e si è mossa per vietare sia l’hardware sia il software delle auto connesse cinesi. Le implicazioni economiche di un simile divieto sono evidenti: di fatto tutti i produttori di auto fanno uso di hardware cinese, e aggirare questi divieti spostando le basi di produzione in questo caso non è possibile, servirà una revisione generale delle forniture (una possibile rivitalizzazione della filiera dell’indotto).
L’Italia sembra avere un altro orientamento: il dialogo fra il produttore di auto DongFeng e il governo Meloni è incentrato sull’apertura di un sito produttivo in Italia, la contropartita di cui si discute è quella di portare nel Belpaese le infrastrutture di connessione di Huawei.
L'entità dei dati personali che si prevede verranno raccolti dalle auto connesse solleva importanti questioni di privacy e sicurezza per gli automobilisti di tutto il mondo, l’ambizione del governo di fare dell’Italia il luogo in cui assemblare i progetti cinesi potrebbe non produrre uno scambio molto vantaggioso: le auto connesse sono esposte al rischio di essere colpite da un attacco informatico o da una violazione dei dati. Le funzioni potrebbero essere accessibili da remoto, con ripercussioni sulla sicurezza del conducente. I sensori possono essere manipolati per rilevare oggetti inesistenti. Un'auto a guida autonoma violata potrebbe persino essere trasformata in un'arma.
Le auto connesse e non hackerate offrono però molti vantaggi: grazie a telecamere e sensori garantiscono maggiore sicurezza (sistemi anticollisione), analisi dei dati in tempo reale (con tempi di reazione più rapidi e una riduzione degli incidenti). Le auto connesse che utilizzano percorsi migliori riducono gli ingorghi e dunque le emissioni.
Che la propulsione sia elettrica non è la vera rivoluzione, per l’auto. Quello che cambia davvero è la relazione commerciale con il cliente, il modo in cui si trova il target demografico, come lo si fa diventare un cliente e come si interagisce post-vendita.
Questi “smartphone con le ruote” riprodurranno dinamiche analoghe a quelle che hanno messo fuori mercato i vecchi produttori di telefoni: il numero di cose che si potevano fare con lo smartphone rispetto ad un telefono tradizionale (o a un telefonino GSM) è stato trasformativo, nel quotidiano.
Quello che saremo in grado di fare con la mobilità di prossima generazione sarà tremendamente diverso da quello che facciamo attualmente con le nostre auto, anche se ora è difficile vederlo. Il 18enne di oggi, neopatentato, si aspetta digitalizzazione e connettività. Continuità di servizi tra l'auto, la casa e lo smartphone.
E vorranno scegliere se comprarla, noleggiarla, comprarla in condivisione, accedere al mezzo con un abbonamento… comunque con lo stesso livello di tecnologia. I produttori di auto progetteranno i propri chip, con dei firmware dedicati alle attività che vorranno sviluppare e mettere in dotazione sulle auto.
Le funzioni di guida autonoma daranno più mobilità agli anziani, in un mondo che invecchia è rilevante. Baidu commercializza già dei robotaxi (siamo alla sesta generazione!) che costano circa 25mila€. La celebrata BYD è indietro e intende investire 14 miliardi$ per recuperare il ritardo. Secondo Goldman Sachs, il mercato dei soli robotaxi dovrebbe superare i 25 miliardi di dollari a livello globale entro il 2030. Entro il 2027, secondo le previsioni, le auto parzialmente autonome, che richiedono la supervisione del conducente, dovrebbero rappresentare circa il 30% delle vendite globali di auto nuove.
Per molte case automobilistiche globali, che hanno fretta di recuperare il ritardo nel software di guida autonoma o che non hanno i fondi per svilupparne uno proprio, il software cinese poteva rappresentare una scorciatoia per la competitività, ma ora con il divieto in arrivo le case automobilistiche rischiano di rimanere tagliate fuori.
Il futuro rischia di diventare un mercato chiuso, in cui i consumatori vengono “costretti” a comprare veicoli “domestici” a prezzi irraggiungibili per l'aumento dei costi di sviluppo. Oppure un mercato aperto in cui l’arretrato Occidente si occupa di assemblare le auto progettate in Cina.
Curiosità
Google DeepMind e BioNTech stanno costruendo assistenti di laboratorio AI per aiutare i ricercatori. Quello di BioNTech può automatizzare le attività di routine nella biologia sperimentale, come l'analisi e la segmentazione delle sequenze di DNA e la visualizzazione dei risultati sperimentali, connettersi ai dispositivi di laboratorio e monitorare gli esperimenti in corso o le attività svolte dai robot.
La teoria dei prezzi è stata scritta e riscritta più volte. I comportamenti umani talvolta escono dagli schemi e la quantità di dati continua ad aumentare, ma la AI può dare una mano?
L’occhio di un economista, Michael Makowsky, sul mondo conclude che se il servizio è deludente, il mondo è migliore.
Le incredibile e molteplici virtù dei farmaci contro l’obesità, spiegate bene.
Buon weekend in musica, con l’artista coreana Peggy Gou. La sua musica dance-elettronica ha molto chiaro il marchio della sua città di residenza: Berlino
A proposito di Cina vorrei segnalare un fenomeno sempre piu’ diffuso e poco narrato che evidenzia la visione dell’imprenditoria privata Cinese. Parlo della diaspora industriale che sta raggiungendo livelli robusti. Sempre piu’ i imprenditori stanno spostando le produzioni all’estero, in paesi poco e per nulla coinvolti dalla scure geopolitica e piu’ competitivi nei costi di gestione. Vietnam e’ la soluzione piu’ easy perche’ comunque vicina, in via di sviluppo infrastrutturale ma che gia’ garantisce buoni livelli commerciali. Ma anche Malaysia e Cambogia sono destinazioni battute. Nella catena del valore che supervisiono direttamente molte aziende Cinesi hanno un piano di exit strategy o gia’ hanno trasferito stabilimenti produttivi. La perdita degli ultimi anni di un’importante fetta di clientela per motivi geopolitci non poteva destate effetto diverso in persone super attive. Le sfide che il paese sara’ chiamato ad affrontare nel breve sono molto importanti e difficoltose.
Grazie Andrea, leggerti e’ un aiuto importante nel capire gli eventi. Un saluto