Questa riflessione parte dalla Polonia, dove il nuovo primo ministro Donald Tusk (un cavallo di ritorno) ha litigato pubblicamente con il presidente del Paese, Andrzej Duda. Tusk ha affermato che Duda è responsabile di aver permesso al precedente governo (retto dal PiS, “Diritto e Giustizia”) di abusare del potere, posizionando dei lealisti nei tribunali, nei media statali e in altre istituzioni. Ora Tusk si sta adoperando per riportare indietro le lancette dell’orologio.
La prima battaglia di Tusk è stata quella con la televisione di Stato. Sotto il PiS, i media di proprietà dello Stato erano fondamentalmente megafoni di propaganda governativa, facendo leva sulle emozioni degli elettori, alimentando la paura e la sfiducia verso le istituzioni.
Per questo gli elettori polacchi non sono i soli a sostenere Tusk. Ci sono anche i leader dell'UE. Donald Tusk è stato presidente del Consiglio europeo ed è un “populista liberale” che gli alleati europei sperano sia in grado di sconfiggere i populisti illiberali con la loro stessa medicina.
Il 2024 sarà ricordato come l’anno delle scadenze elettorali. Si è votato a Taiwan a gennaio, a giugno si voterà per le Europee, ma si voterà anche nel paese più popoloso al mondo -l’India- e naturalmente a novembre si terranno le presidenziali americane. Prima delle urne la gente cerca informazioni, angolazioni, editoriali, vuole dare un senso al mondo, e da qualche tempo viene investita da un'enorme quantità di idee “alternative”. Il ruolo dei media è quindi più che mai rilevante.
C’è un grande cambiamento sullo sfondo in questo anno: l’ascesa dei “micro-media” e lo scontro tra microcultura e macrocultura. Per “micromedia” intendo podcast, newsletter, YouTube, Twitch, social media… tutto il sottobosco di “micro” creatori di contenuti.
Mentre i media tradizionali, i media mainstream, sono i “macro-media”.
Provo a partire da lontano, con questo ragionamento: ogni anno sotto Natale ci veniva proposto in televisione “il piccolo Lord” (e da qualche anno “una poltrona per due”, ovvero l’elegia dell’insider trading e dell’aggiotaggio).
Questo genere di rituale di massa contribuiva a creare un folklore collettivo, e dalla lettura dell’imperdibile Sapiens di Harari abbiamo imparato che gli esseri umani riescono a cooperare, a trovare unione, grazie alle storie che condividono. Proporre a ripetizione dei film creava una sorta di rituale sui vecchi media e lo stesso vale per appuntamenti come il Festival di Sanremo, la notte degli Oscar o il Superbowl. E’ la versione moderna di migliaia di anni di tradizione orale di racconti, storie moralistiche, suggestioni, pettegolezzi, storie sessuali, rivelazioni e riscatti. Un modo per trasmetterci valori. La Bibbia è piena di queste cose.
Come sempre, vengo condizionato dalle mie letture recenti. Ho da poco finito di leggere La camera di sangue di Angela Carter, una scrittrice britannica incredibilmente prolifica e insolita. Il libro è una rielaborazione “per adulti” di storie che conosciamo a menadito, come Cappuccetto Rosso e alcune altre fiabe, dei fratelli Grimm.
I Fratelli Grimm erano due romantici tedeschi, che trasformarono in fiabe delle storie di saggezza popolare, riflettendo la morale vittoriana dell'epoca: nelle loro fiabe tutte le bambine sono innocenti e timide, i lupi sono sempre cattivi, mentre le nonne sono sagge. Angela Carter ribalta alcuni paradigmi, ripescando gli aspetti corporei, scurrili, suggestivi delle antiche storie popolari, che non erano per bambini, erano per adulti e non lesinavano momenti cruenti o ricchi di riferimenti sessuali, anche molto espliciti.
Questa lettura è cascata nel mezzo di queste mie riflessioni sui media e ho realizzato che un processo simile alla trasformazione delle storie popolari in fiabe è accaduto ai media tradizionali, attraverso i quali tante storie sparpagliate e diverse venivano standardizzate, come hanno fatto i fratelli Grimm. L’editorialista ne tirava fuori una narrazione unica, in forma magari edulcorata e di sicuro accessibile, facendola diventare “opinione pubblica”.
Per il teatro, che come alcuni di voi sanno è la mia grande passione, avviene lo stesso tipo di processo: da elementi dispersi e riorganizzati nasce una narrazione, che poi si frammenta di nuovo in mille sperimentazioni.
Ed ecco come nella mia testa ha iniziato a formarsi un pensiero sull'economia dei media e su come internet e social network siano stati delle Angela Carter che riscrivono le storie, “liberandole” del loro aspetto impolverato, trasformandole in faccende più cruente ed esplicite.
I media mainstream
Per dirla in modo secco e brutale, i media tradizionali stanno implodendo. Chi fa il giornalista è sempre a rischio di licenziamento, ormai. E non solo nelle sempre più sgangherate redazioni dei giornali italiani. Persino nel Washington Post del ricchissimo Jeff Bezos sono in corso licenziamenti per un migliaio di persone. Il New Yorker licenzia giornalisti, il glorioso New York Times lo stesso, tutti i media mainstream sono in contrazione.
Se si guardano i siti di news, il Corriere cerca sempre più di assomigliare a Dagospia (e non viceversa): la qualità non fa premio, non abbastanza. Quando ero ragazzo, ma anche quando ero un giovane adulto, si guardava il telegiornale quasi religiosamente. Oggi invece, come ci insegna Donald Tusk, i partiti di governo sono tornati ai tentativi di 100 anni fa, cercando di trasformare l’informazione in un veicolo di propaganda.
In sintesi: la macro-cultura muore davanti ai nostri occhi. Invece i “micro-media” come i podcast, le newsletter, gli YouTuber… tutto questo è in piena espansione, vedo diverse firme abbandonare testate importanti e scegliere di pubblicare in proprio. E con grande successo.
E’ particolarmente importante registrare questo cambiamento, specialmente quest’anno di grandi e numerose scadenze elettorali. Nei media mainstream vige la deontologia professionale, sono tutti tenuti a uno standard qualitativo più elevato, alla professionalità nella costruzione dei contenuti, e nella verifica delle fonti. Nelle redazioni c’era una linea editoriale, le opinioni venivano pubblicate con la supervisione di un comitato editoriale.
Invece i micro-creatori di contenuti, podcaster, o chi scrive come me newsletter su substack, non hanno alcun controllo editoriale. Pubblicano “opinioni personali”. Il trade-off per l’utente, nei due modelli, è la scelta tra una professionale verifica dei fatti e delle fonti e la libertà di opinione senza controlli e censure. Per i creatori di contenuti il trade-off sta nell’avere una piccola attività in proprio rispetto a lavorare per una grande organizzazione, in cui si instaurano facilmente dinamiche burocratiche da azienda, con cortili e baronie.
Stripe, l'azienda che gestisce i pagamenti per moltissimi siti internet, riporta che nel 2021, su 50 piattaforme per oltre 600mila creatori complessivi, ha gestito pagamenti per circa 10 miliardi $.
Nel 2023, queste stesse 50 piattaforme di creatori, come Patreon, ad esempio, ospitano circa 1 milione di creatori, dunque quasi il doppio, e i pagamenti gestiti sono stati di 25 miliardi $, più che raddoppiati.
Negli ultimi tre anni YouTube ha distribuito più di 70 miliardi $ di ricavi pubblicitari a utenti che hanno caricato video sulla piattaforma.
Quindi, i media tradizionali stanno morendo, ma non perché manchi la domanda di contenuti… c'è un massiccio spostamento di interesse verso i piccoli creatori indipendenti, non perché i creatori siano migliori, in alcuni casi sono addirittura le stesse persone che prima scrivevano per Bloomberg o per il NYTimes…
La mutazione dei media
All'inizio del XX secolo, la grande rivoluzione nei media furono il grammofono e la radio, un'invenzione straordinaria. Ma la radio e il grammofono hanno concentrato il potere in pochissime mani.
Prima del grammofono, prima del disco, in Italia c'erano centinaia di cantanti d'opera. E questi personaggi andavano in giro a cantare guadagnando qualche centinaio di lire. Ma quando arrivò il disco, improvvisamente la gente poteva ascoltare il miglior tenore d'Italia. Non il secondo o il quinto migliore. O il tizio che è in scena nel teatro della città.
Improvvisamente fu possibile comprare i dischi dei veri artisti e ascoltarseli a casa con il grammofono. Così, le vendite del miglior tenore salirono alle stelle, e tutti i tenori di seconda categoria, che erano ovviamente comunque molto bravi, finirono fuori mercato.
Cosa è successo con la radio e la televisione? In TV tutto veniva omogeneizzato: i canoni sull’aspetto, l’impostazione della voce, era tutto molto rigido. Tutti i lettori di notizie avevano la stessa voce impostata, così come tutta la musica veniva incanalata attraverso le grandi etichette discografiche. C’era la concentrazione del messaggio, e il messaggio è il potere, perché il messaggio è il modo in cui si entra nella testa delle persone.
Come le etichette discografiche avevano un oligopolio per le produzioni musicali, così pochi giornali portavano con diverse sfaccattature lo stesso messaggio a tutti i loro lettori, qualche anno dopo un manipolo di telegiornali decideva cosa fosse una notizia e cosa non meritasse visibilità, per tutto il pubblico a casa. Alcuni specifici soggetti, insomma, erano depositari del ruolo di convogliare e trasferire il messaggio, la narrazione.
La controcultura esisteva, ma quella che funzionava veniva rapidamente fagocitata e diventava mainstream. Emblematico l’esempio dei Beatles: sono stati controcultura per un po', così come David Bowie ruppe molti schemi, e ben presto divennero sia gli uni che l’altro parte del mainstream, modelli che molti cercavano di copiare.
Ma tornando alla metafora dell'industria musicale, i cambiamenti nelle possibilità di creare e fruire la musica hanno cambiato il modo in cui viene prodotta la musica:
Si comprava un LP per un brano, o perché si era appassionati dell’artista, e nell’LP si trovava anche il pezzo sperimentale, quello ricercato, quello poco riuscito… oggi ogni canzone compete singolarmente con tutte le altre per essere scelta per l’ascolto in streaming.
Allo stesso modo, si comprava il giornale per l’editoriale della firma prestigiosa, o per uno scoop eclatante, o per un’intervista preziosa, e all’interno del giornale si trovava anche il pezzo sperimentale, quello ricercato, quello poco riuscito… oggi invece ogni articolo compete singolarmente con gli altri per essere cliccato e letto.
Il motivo per cui è importante badare alla trasformazione della povera industria dei media più di quanto lo fosse osservare la trasformazione della multimilionaria industria musicale è che, quando penso alle trasformazioni, penso a Schumpeter e al suo messaggio profondo (crescita, rinascita, cicli, distruzione creativa e tutto il resto).
E la parte più preziosa dell'economia è quella che potremmo definire l'economia dell'attenzione. Per questo avere l'attenzione della gente costituisce un potere enorme, sia dal punto di vista commerciale che ideologico, politico e sociale: il potere di muovere il prossimo cambiamento: l'idea di Schumpeter è che viviamo in uno stato di flusso. Non esiste un equilibrio raggiunto il quale tutto si ferma, lo scenario muta di continuo.
In ogni successo ci sono i semi del suo fallimento. Anche chi conduce gli affari in modo efficace, avrà sempre qualcuno che starà cogliendo degli spunti, trarrà una lezione. E farà qualcosa di simile, ma diverso, per molti versi migliore. Così Schumpeter spiegava il capitalismo: un processo di perfezionamento continuo ed instancabile.
L’arrivo di internet
E l'introduzione della tecnologia amplifica e accelera il processo di distruzione creativa. Dopo la radio e la TV, il grande cambiamento successivo per i media è Internet. C'è voluto un po' di tempo prima che Internet avesse un impatto effettivo, come ha fatto notare Bill Gates. Il problema con la tecnologia è che tendiamo a sopravvalutare il suo impatto a breve termine e a sottovalutare quello a lungo termine, come è accaduto con la bolla delle dot-com: prima si è sopravvalutato l'impatto nel breve termine, dicendo che il mondo stava cambiando. Ma nel 2001 il mondo non era così diverso dal 1999, internet ha davvero cambiato il mondo, ma in modo lento e inesorabile.
I media influenzano le persone e le loro scelte elettorali, danno visibilità e dettano l’agenda degli argomenti a cui le persone danno importanza.
La differenza tra la macrocultura e la microcultura, è che la microcultura è la fonte di tutta la crescita dei media in questo momento.
Marshall McLuhan nel 1964 scrisse un libro intitolato Understanding Media, the Extensions of Man (Capire i media, le estensioni dell'uomo). Parlava di come i media siano centrali nel modo in cui guardiamo il mondo. E ha inventato la celebre espressione "il mezzo è il messaggio". In pratica diceva che chi controlla il mezzo controlla il messaggio.
La RAI, Mediaset, la BBC e la CBS stanno perdendo ascolti; i giornali tradizionali perdono copie, abbonati e lettori, mentre la microcultura sta salendo alle stelle. I partiti politici tradizionali e i loro spin doctor non hanno modo di controllare il mezzo, e di conseguenza nessuno controlla il messaggio; è la cacofonia di media alternativi ad avere un impatto enorme sull'immaginario pubblico, oltre a coltivare gli istinti tribali, creando piccole communities che formano delle camere dell’eco. E ciascuno, nella propria camera dell’eco, rafforza i propri pregiudizi.
I social network, l’evoluzione tecnologica successiva per i media, hanno mutato ancora lo scenario: eravamo abituati a sentire nei talk-show dei politici sostenere l’indifendibile e insultare i propri interlocutori con lo scopo di “avere ragione” (anche se Protagora e Gorgia si rivolterebbero nei loro tumuli sentendo queste parole). Questi ridicoli comportamenti si sono traslati agli utenti dei social, che non devono conquistare i voti che consentono di avere uno scranno parlamentare, ma si insultano per un misero pugno di like.
Mi sono imbattuto in un tweet di quel personaggio meschino che è il prof Alessandro Orsini
983 risposte delle quali più di 900 per dirgli “smettila di fare la vittima, nessuno ti considera”. Sicuramente il suo modo di porsi come vittima è penoso, un invito al dileggio, ma cosa spinge più di 900 utenti che “non lo considerano” a spendere tempo a rispondere ad un messaggio che ritengono irricevibile? Senza dubbio c’è un palpabile bisogno di caos, di sfogare le proprie frustrazioni.
C'è stata anche una pandemia, e la gente è diventata più atomizzata, più individualizzata, un po' più lontana dal mondo. Sia fisicamente che emotivamente e mentalmente. Ma verosimilmente quei 900 sanno che quel tweet e le relative risposte saranno più letti di altri e inserirsi in quella “conversazione” permetterà di essere visti e ricevere qualche feedback, qualche cuoricino, forse persino dei retweet.
Questa è un’altra cosa di cui la società si è ammalata: il riscontro immediato, la notifica di ritorno sull’efficacia di ciò che abbiamo scritto. Di più: non solo i feedback arrivano immediati, si aggiunge che nessun messaggio produce notifiche dopo qualche ora. Tutto invecchia e molto rapidamente non conta più nulla (il che è molto deresponsabilizzante e incentiva a “comportarsi male” senza troppe remore). Siamo una società ad impulsi immediati e di breve termine, nessuno viene più educato alla pazienza, ai risultati di medio-lungo termine.
Da creatore di contenuti, rilevo che mentre un tempo per acquisire utenti aveva importanza scrivere cose che venivano ricercate (si diceva di fare tutto in ottica SEO: Search Engine Optimization) oggi ha importanza pubblicare cose che vengono condivise. Le riflessioni articolate come questa non portano visibilità quanto invece riesce a fare un video di gattini. E nessuno cerca “gattini”, semplicemente quando nello stream generale ci si imbatte in cose facili e carine le si condivide senza remore, mentre una riflessione articolata può provocare reazioni indesiderate e si preferisce evitare di condividerla.
In questo 2024 pieno di scadenze elettorali, non possiamo evitare di notare che la qualità dell’offerta politica nel mondo appare ulteriormente in calo. Lo dico senza velleità di essere migliore di alcuno:
Mancano leader, perché senza controllo del mezzo nessuno può permettersi di avere una visione di medio-lungo termine che nessuno è più stato educato a sostenere. E nella frammentazione dei media, nella cacofonia mutevole, l’unico prodotto politico che riusciamo a produrre sono dei follower: politici che fiutano dove tira il vento e che si accodano, mostrandosi orgogliosamente senza fondamenta salde, pronti a smentirsi ripetutamente. E che si fanno vanto di seguire “il volere popolare”.
E davanti a noi c’è un nuovo salto tecnologico, che accelererà un ulteriore cambiamento nei media: l'ascesa della AI, che porterà una maggiore possibilità di manipolazione del messaggio, all’interno di una cacofonia assortita e frammentata a cui ancora non ci siamo affatto abituati.
Come diceva Thomas Friedman nel suo prezioso Grazie per essere arrivato tardi, uno dei problemi principali del nostro tempo è che la costante accelerazione del cambiamento ha ormai prodotto una velocità superiore a quella della capacità umana di adattamento al cambiamento stesso.
questo post è il secondo di un trittico di post dedicati alle mutazioni profonde e di lungo termine nel contesto economico-politico-sociale in cui viviamo. Il primo di questi post è “i cambiamenti importanti sono lenti”, mentre il terzo è “l’amore cieco per la democrazia”
Complimenti, sei sempre bravissimo a individuare il tema, spiegarlo chiaramente e offrire una visione ampia su tematiche importanti. Grazie per la tua voglia di condividere questi pensieri.
Grande post Andrea. I social, la “microinformazione”, il controllo dell’AI, sono senza’altro dei motivi di svolta epocale. Purtroppo pero’ il peggiore dei fattori ristagna nell’imbarazzante livello culturale medio della popolazione. E’ qui che occorrerebbe investire e lavorare massivamente. Ma si sa, l’ignoranza aiuta al controllo delle menti.