Nella trepidante attesa di vedere l’interpretazione delle curve da parte di Lewis Hamilton al volante della “Rossa” di Maranello, torno a parlarvi della curva dei tassi, un argomento centrale nelle mie riflessioni sullo stato dei mercati finanziari e forse anche un po’, lo ammetto, una mia fissazione.
Ad agosto scorso, l’osservazione della curva dei tassi mi permise di fare una “chiamata” forte sul rischio di risalita dei rendimenti, che rivelò un tempismo molto puntuale:
I rendimenti raggiunsero il loro zenith alla fine di ottobre del 2023, quando iniziò a prendere sempre più corpo l’idea che l'economia statunitense presentasse una miscela di inflazione in calo e sostanziale tenuta del ciclo, che la Federal Reserve avesse ultimato il percorso di rialzo dei tassi d'interesse e potesse iniziare a considerare quando e di quanto tagliare. Così i rendimenti obbligazionari, proiettandosi in avanti, hanno iniziato di nuovo a scendere e il mercato azionario ha fatto registrare un fine anno da record.
C’è una cosa, però, che ancora non si coniuga con questo scenario: la curva dei rendimenti dei titoli di Stato rimane “invertita” e questo, di solito, indica l'imminenza di una recessione. Dal 1960, esiste un solo caso di curva invertita a cui non è seguita una recessione. Tutte le altre volte, alla curva dei rendimenti invertita, anche se ogni volta in modo diverso, l’economia è entrata in recessione.
Oltretutto, in questo caso, l’inversione è particolarmente profonda e dura da ormai più di un anno. Ci sono stati episodi, brevi, di curva molto invertita. O periodi lunghi di curva lievemente invertita. Ma una curva non è mai stata così profondamente invertita e così a lungo.
Parafrasando la frase attribuita a Lincoln
“puoi prendere in giro tutti per qualche tempo, puoi prendere in giro qualcuno per tutto il tempo, ma non puoi prendere in giro tutti per tutto il tempo”
potremmo dire:
Puoi avere la curva molto invertita per un po’ di tempo. Puoi avere la curva leggermente invertita per molto tempo. Ma non puoi avere la curva molto invertita per molto tempo
Cominciamo dalle basi: Cos'è la curva dei rendimenti? E di cosa parliamo quando diciamo che è invertita?
La curva dei rendimenti esprime graficamente quale sia la remunerazione del capitale in base alla durata dell’investimento dello stesso. Normalmente i tassi di interesse a più breve scadenza sono più bassi di quelli a più lunga scadenza, perché se presto dei soldi per tre mesi, ho una buona visibilità sul fatto che il prestito verrà rimborsato e di quale sarà il potere d’acquisto di quel capitale a scadenza. Se invece presto denaro per 10 anni, normalmente richiedo un po' più di interessi: affronto un maggior rischio di non essere ripagato e ho meno idea di quanto varrà il capitale a scadenza, in termini di potere d’acquisto.
La curva si “inverte” quando i rendimenti a lungo termine sono più bassi di quelli a breve termine. Questo è, essenzialmente, un segnale che qualcosa non va. Oggi in Europa il tasso a breve è di 1,6% superiore al tasso a 5 anni. Negli USA il tasso a breve supera il tasso decennale di 1,2%.
Noah Smith prova a dare la sua interpretazione qui, dicendo -in sintesi- che talvolta le banche centrali reagiscono al mercato, altre volte provocano una reazione nel mercato, ma in questa particolare occasione l’inversione di curva non significa nulla. Si tratta di un errore di interpretazione del mercato che verrà riassorbito senza conseguenze e non rappresenta un segnale di alcunché.
Per quanto spesso concordi con le riflessioni di Noah, su questo argomento (di cui, come dicevo, sono piuttosto ossessionato) ho un’opinione diversa. Sospetto che lui si limiti a guardare il messaggio nei termini di “cosa la curva ci dice sui mercati finanziari”. Ma da tempo mi sto domandando “cosa la curva invertita fa all’economia reale”. E qui non si può proprio dire che l’effetto sia nullo.
Cosa accade, infatti, quando la curva dei rendimenti si inverte, e si viene remunerati di più investendo a tre mesi che investendo a 10 anni? E perché non c'è ancora stata una recessione nonostante la curva dei rendimenti si sia invertita?
Un ritardo tra l'inversione della curva dei rendimenti e la recessione che segue c’è sempre. Ma, come dicevamo, da quando l’inversione si è materializzata, di tempo ne è passato. Siamo oggi nei tempi medi di quello che dovrebbe essere il periodo di recessione, o quando dovrebbe iniziare. E invece l’economia tiene ancora.
L’opinione largamente condivisa è che tutti gli stimoli post-pandemici abbiano ritardato il fenomeno, e ora potrebbe arrivare una recessione poco profonda. Lo chiamano un “atterraggio morbido”: un paio di trimestri di crescita economica lievemente negativa, quella che in gergo viene chiamata “recessione tecnica”, che è ciò che sta accadendo in Germania.
Ma tutte queste letture si concentrano sul verificare se la curva invertita conferma la sua “magica” capacità di anticipare una recessione. Invece vorrei fare lo sforzo di domandarmi dei “come” e dei “perché”.
Il fatto che quando la curva si inverte l’economia sprofondi poi in una recessione ha catalizzato l’attenzione al punto da non chiedersi cosa implichi nel funzionamento dell’economia una remunerazione del capitale capovolta rispetto alla logica, invece ritengo ci sia un legame importante fra la “strana” polarizzazione dei profitti delle grandissime società a scapito delle medio-piccole.
Si fa un gran parlare dei “Magnifici 7” e della loro incredibile crescita in borsa, e della straordinaria differenza di valutazione che le small cap hanno rispetto alle grandi società quotate, in questi giorni Meta ha stabilito il record di crescita assoluta di capitalizzazione in una sola sessione per una società, ad esempio.
Uno degli elementi da considerare -a mio avviso- è che le grandi aziende hanno facoltà di accedere al mercato dei capitali emettendo obbligazioni a medio-lungo termine, intercettando ormai da più di un anno e mezzo tassi sensibilmente più bassi di quelli che invece rappresentano il costo del capitale per le società che non hanno le spalle così larghe da trovare sottoscrittori per credito a lungo termine e devono finanziarsi a breve o attraverso intermediari.
Se poi prendiamo i consumatori finali, che si finanziano con le carte di credito, la forbice diventa clamorosamente larga. Oggi i tassi pagati dai più sfortunati, a cui è preclusa ogni altra forma di credito che non siano le carte di pagamento, sono ampiamente a due cifre: si va dal 20% al 29% di tasso di interesse. Il tasso del titolo di Stato decennale americano è di poco sopra il 4%, e le aziende più grandi pagano uno spread risibile al di sopra di esso.
Tutto questo si traduce in un meccanismo che amplifica enormemente le disuguaglianze: le aziende più grandi e robuste ottengono capitale a tassi clamorosamente bassi, rispetto non solo a quello che i consumatori trovano per diventare loro clienti, ma anche rispetto ai loro competitor più piccoli.
Con questa capacità di fuoco, la competizione è quasi impossibile e il rischio è che poche società “sequestrino” il mercato (e l’andamento di borsa lo testimonia plasticamente) mettendo in soffitta il meccanismo di rinnovamento delineato da Schumpeter con la definizione di “distruzione creativa”.
Non può esserci alcuna distruzione in cima alla piramide laddove le condizioni a cui si partecipa al grande gioco dell’economia sono così diverse a tutto vantaggio dei più forti. Chi resta distrutto sono solo i più piccoli e fragili.
Una curva profondamente invertita per poco tempo lascia effetti trascurabili, ugualmente una curva invertita a lungo di pochi centesimi di punto non crea grandi differenze, ma una situazione di curva profondamente invertita da oltre sei trimestri, come quella che stiamo vivendo, provoca ricadute profonde nel tessuto economico.
Le Banche Centrali sembrano aver ottenuto una miracolosa “disinflazione immacolata” e si stanno ormai orientando a ridurre i tassi (che si riflettono direttamente sui rendimenti a breve); questo avrà l’effetto di normalizzare la forma delle curve, togliendo alle grandi società (e non solo ai “Magnifici 7”) un vantaggio competitivo che oggi produce un effetto tossico sull’economia.
Questo articolo ha avuto un seguito, una sorta di “seconda puntata” del ragionamento. Lo trovate qui