La settimana dell'Alieno #91
Rassegna delle notizie economico-finanziarie del 4 - 11 Aprile 2025
Dazi intermittenti
Dopo aver annunciato dazi verso ogni paese del mondo (persino le isole disabitate), definendoli necessari a mettere fine al maltrattamento economico di cui gli USA sarebbero vittima, Trump ha messo “in pausa” gli stessi dazi per 90 giorni:
Scenderemo a una tariffa di base del 10%.
La maggior parte dei nostri alleati vuole venire a negoziare e noi siamo subissati di richieste.Tuttavia la Cina ha continuato a inasprire i toni e ora il livello dei dazi per loro sale al 125%, ed entreranno in vigore immediatamente.
Il cappellino del vero fan di Trump, rigorosamente prodoto in Cina, potrebbe costare più di 100$
La retromarcia di Trump (secondo molti con i contorni di un gigantesco insider trading) ha fatto impennare i titoli di Wall Street per un giorno, registrato una salita record nell’ambito di una sequenza di crolli senza precedenti, proseguiti dal giorno seguente: cumulativamente sono state registrate le maggiori perdite nelle azioni statunitensi dal crollo del lunedì nero del 1987.
All'inizio di questo sell-off azionario, gli investitori si sono rifugiati nei titoli di Stato, in particolare i titoli del Tesoro americano, e investendo sull'oro. Ma poi, venerdì scorso, è arrivato un primo sell-off in queste aree. Un segnale che qualcuno è in difficoltà a causa della volatilità nei mercati, probabilmente delle margin call sono scattate e sono partite le vendite sugli asset molto liquidi, facili da scaricare.
Ne parlavamo nel podcast ad inizio anno, molti investitori (dagli hedge fund speculativi ai gestori patrimoniali più tradizionali) hanno investito sull'eccezionalismo americano. Ora si scopre che l'America è una destinazione d’investimento eccezionalmente scadente. E così tutti corrono verso l'uscita nello stesso momento.
Il rendimento dei titoli di Stato americani ha così iniziato a salire a velocità crescente. Una cosa che la Federal Reserve fatica a contrastare in questa fase, perché dovrebbe tentare di tagliare i tassi (aumentando il rischio di inflazione) mentre è in atto una politica fiscale centrata sui dazi, che tipicamente fanno salire i prezzi e provocano ritorsioni.
Il fatto che Donald Trump abbia dato un segnale di ripensamento sospendendo i dazi, ha arrestato la discesa dei Treasuries, ma siccome nessuno capisce davvero cosa Trump stia cercando di ottenere o su quali punti intenda negoziare, l’incertezza sta rapidamente tornando ad affliggere il mercato.
Il punto, infatti, non è l'entità dei dazi, che se scendono dal 20% al 10% allora va bene. I dazi sono un danno all'economia, generano un gioco a somma negativa tra le parti, ma qui il punto è innanzitutto che in condizioni mutevoli, come può un'azienda fare piani industriali? Con una controparte senza credibilità, come può un paese fare accordi commerciali?
Se nessuno sa quali saranno i dazi la prossima settimana, tantomeno nei prossimi tre-cinque anni, si blocca tutto.
Colpo su colpo
Ai dazi “reciproci” di Trump, la risposta di Pechino è stata quella di reagire colpo su colpo. La “guerra fredda” tra Stati Uniti e Cina in pieno corso e sta ridisegnando il commercio mondiale, in una battaglia che a quanto pare sarà prolungata.
Oltre a rispondere con dazi uguali e contrari ad ogni rialzo degli USA, i responsabili politici cinesi hanno discusso se accelerare i piani di stimolo per i consumi e i sussidi per alcuni esportatori.
Gli economisti nel frattempo stimano con probabilità sempre maggiori l’arrivo di una recessione negli USA se i dazi non saranno ridotti rispetto a quanto annunciato. E anche se i dazi verso la UE sono stati ridotti al 10% per 90 giorni, la pressione media ponderata per il commercio globale è scesa solo da 27% a 24%, a causa della centralità della Cina.
Questo ha riportato i mercati in caduta libera, ma per quanto riguarda i mercati e l'inflazione, Xi sembra essere in una posizione migliore per resistere a queste pressioni per un paio di ragioni fondamentali:
Le azioni giocano un ruolo molto più importante nell'economia americana, l’effetto ricchezza alimenta i consumi e lo stesso Trump in passato ha usato il livello del mercato azionario come barometro del successo. In Cina, le oscillazioni del mercato azionario tendono ad avere un impatto minore sulle tendenze dell’economia reale.
La Cina inoltre sta lottando contro la deflazione, il che le dà più spazio per digerire qualsiasi pressione al rialzo dovuta alle tariffe di ritorsione sulle importazioni dall'America. Gli Stati Uniti invece hanno ancora qualche problema con l'inflazione, e i dazi aumentano la pressione sui prezzi.
La ritorsione di Pechino è arrivata in risposta al monito di Trump:
“qualsiasi Paese che deciderà di reagire contro gli Stati Uniti imponendo ulteriori dazi – oltre e al di là dei già esistenti abusi commerciali di lungo corso – sarà immediatamente colpito da nuovi dazi, sensibilmente più alti di quelli inizialmente previsti.”
Meloni verso gli USA
Mentre Trump dice ai microfoni dei giornalisti che i leader degli altri paesi lo implorano “fino a baciargli il c*lo” per avere riduzioni sui dazi, il primo ministro italiano Giorgia Meloni si prepara a raggiungerlo a Washington. Il rischio di questa missione individuale è di complicare le relazioni dell'Italia con l'Unione Europea o con gli Stati Uniti.
L'UE è stata colpita prima con dazi mirati su acciaio e alluminio, poi dai dazi sulle auto e ora dalle cosiddette “tariffe reciproche” del 20%, poi ridotte a 10%. Bruxelles cerca di muoversi con cautela nel rispondere all’aggressività di Trump: se gli USA vogliono tassare i loro consumatori di beni d’importazione, fare altrettanto sui consumatori europei potrebbe non essere la soluzione migliore (possono spingersi solo fino a un certo punto senza danneggiare anche le proprie industrie, che hanno bisogno di alcune delle forniture statunitensi). Per questo stanno iniziando a pensare a restrizioni sulla tecnologia, e sui servizi finanziari. In teoria, si potrebbe vietare alle aziende americane di aggiudicarsi appalti pubblici. È qui che molti Stati membri stanno dicendo che finiremo inevitabilmente.
L'Italia è molto, molto morbida su questo tema. Per Giorgia Meloni sembra sia venuto il momento della verità: sarà fedele al credo nazionalista "Prima il mio Paese" o farà gioco di squadra per l’Europa? Che tipo di potere ha la Meloni mentre l'UE sta discutendo se colpire o meno i servizi statunitensi?
Ci sono opinionisti politici ed economisti che sostengono che la situazione sarà così negativa per l'economia statunitense che Trump inizierà a revocare queste misure nel giro di poche settimane o mesi. In questo scenario, l'UE sarebbe ovviamente molto felice di non dover fare nulla. Ma il rischio escalation resta sul tavolo. E alla fine la Meloni, se si troverà davvero con le spalle al muro, dovrà allinearsi agli altri grandi Stati membri come Germania, Francia, Spagna e Polonia.
Questa newsletter ha due edizioni settimanali (ogni venerdì la Settimana dell’Alieno, scritta da
Andrea, e ogni lunedì quella sulla puntata del podcast
Economia per Tutti, scritta da
Giulio.
Andrea
Talvolta ad “scappa” una terza edizione sporadica, di approfondimenti specifici. Puoi trovare l’
archivio integrale delle newsletter precedenti qui.
Inflazione e deflazione: le conseguenze dei dazi
Nel post Covid coniai l’espressione “manca la roba” per rappresentare il problema dello shock di offerta che affliggeva il mondo. Un nuovo shock di offerta sta per arrivare, come conseguenza dei dazi americani, ma a differenza della crisi Covid, che ha generato inflazione nella maggior parte dell'economia globale, i dazi di Trump scateneranno reazioni divergenti nei livelli dei prezzi, generando un impulso deflazionistico in una parte del mondo, e inflazionistico per gli Stati Uniti.
L'entità dei dazi alla Cina (54%, che diventa fino a 79% su alcuni prodotti) ha provocato una immediata ritorsione da Pechino, che produce un contesto da escalation. Molte delle economie che si sono poste come alternative alla Cina, come il Vietnam, hanno ricevuto dazi “reciproci” tra il 40% e il 50%. Molte di queste economie erano anche importanti importatori di beni intermedi cinesi, che venivano incorporati nei prodotti esportati negli Stati Uniti.
Supponendo che i dazi rimangano in vigore e che di conseguenza i consumatori statunitensi cambino le loro abitudini di acquisto, i problemi di sovraccapacità della Cina diventano più grandi, la pressione deflazionistica della Cina si intensificherà a causa del forte shock negativo della domanda esterna.
La conseguenza sarà che l'Unione Europea potrebbe essere sommersa da prodotti manifatturieri a basso costo. I produttori europei dovranno quindi affrontare una concorrenza sui prezzi ancora più agguerrita nei mercati dell'UE e in altri mercati non statunitensi. Il risultato sarà deflattivo, pertanto la BCE probabilmente ridurrà i tassi di interesse più rapidamente.
Le famiglie americane, nel frattempo, subiranno uno shock al rialzo dei prezzi nelle prossime settimane e mesi, oppure una crisi occupazionale: se le aziende assorbiranno nei loro margini i dazi imposti da Trump, dovranno licenziare.
Almeno in parte, comunque, i dazi finiranno nei prezzi dei prodotti: l'indicatore dell'inflazione utilizzato dalla Federal Reserve (indice PCE core) è ora visto salire di circa il 4,6% quest'anno (un mese fa la stima era 2,6%).
Dollaro
Il dollaro ha continuato a essere colpito dalle vendite, la gente sta riconsiderando il posto al centro del sistema finanziario globale. Il dollaro è ancora la valuta di riserva mondiale, ma dato che gli Stati Uniti si stanno tirando indietro e stanno interrompendo gli accordi commerciali di lunga data, gli investitori si chiedono se il dollaro continuerà ad avere il primato che ha sempre avuto e se l'era di Re Dollaro stia volgendo al termine.
A proposito del fatto che gli Stati Uniti stiano riconsiderando il loro posto nell'economia globale, c'è stato un grande sell-off dei Treasury statunitensi durante questa settimana, il che è strano perché quando le azioni cedono, la gente di solito si riversa su beni rifugio come i Treasury statunitensi.
Ha prevalso la disaffezione verso gli asset americani, gli investitori si allontanano dagli Stati Uniti e dagli asset statunitensi. La fiducia che la gente aveva un tempo sta forse iniziando ad essere un po' erosa.
Molti credevano che la discesa di Borsa avrebbe raggiunto un “punto di dolore" capace di fermare Trump, ma quel punto a quanto pare non c'è: l'amministrazione Trump è stata chiara più volte, è pronta a sacrificare le quotazioni azionarie pur di correggere il doppio deficit, dicevano che Main Street andava sana, con buona pace di Wall Steet. Ma davanti al crollo del mercato obbligazionario Donald Trump ha capitolato e sospeso la sua politica sui dazi.
L'insicurezza resta diffusa: è uscito un dato di inflazione inferiore alle attese, ma si tratta dell'inflazione passata, mentre la preoccupazione è per l'impatto futuro sui prezzi dai dazi.
Materie prime
Abbiamo parlato di mercati azionari, di dollaro, ora passiamo alle materie prime. Ad inizio settimana i prezzi del petrolio sono scesi ai minimi di quattro anni. Un segnale del fatto che l'economia globale sta andando incontro a un forte rallentamento. Brent e WTI stanno intorno ai 60$ al barile, mentre per la maggior parte del 2022 il petrolio ha superato i 90$ al barile, si è trattato di un cambiamento di mercato piuttosto significativo negli ultimi due anni.
La scorsa settimana, la coalizione Opec+ dei Paesi produttori di petrolio, che non include gli Stati Uniti, ha deciso di aumentare la produzione. Quindi la combinazione di una domanda potenzialmente più debole, a causa dei dazi, e di un aumento dell'offerta, dovuto all'incremento della produzione Opec, ha creato una pressione al ribasso sul prezzo del petrolio.
A seconda di quanto durerà la debolezza del prezzo del petrolio, come influirà sulle strategie delle aziende del settore? BP ha recentemente presentato una grande strategia di reset, ma che prevedeva un prezzo del petrolio superiore a quello di questi giorni.
Morgan Stanley ha rivisto le sue previsioni per il Brent al ribasso fino a 60$ al barile e ha osservato che il tipo di ribasso che abbiamo visto nel mercato del petrolio nell'ultima settimana è stato visto solo 24 volte in precedenza, e 22 di queste erano associate a recessioni. Quindi molti analisti sottolineano che il calo del prezzo del petrolio riflette la percezione di un maggiore rischio di recessione.
Interurbana a lungo raggio
La UE cerca un dialogo costruttivo con la Cina sui dazi statunitensi. È quanto ha dichiarato la presidente della Commissione Ursula von der Leyen dopo una telefonata con il premier cinese. Bruxelles vuole essere sicura di collaborare con Pechino nel contenere le conseguenze delle politiche commerciali di Donald Trump.
La telefonata è avvenuta martedì e la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha parlato con il premier cinese Li Qiang. L'incontro è stato provocato dai dazi imposti da Donald Trump sia alla Cina che all'UE e dalle tensioni commerciali che hanno messo a dura prova il sistema finanziario globale. Il punto principale della von der Leyen è stato:
"Noi siamo un mercato enorme, voi siete un mercato enorme, dobbiamo trovare una soluzione negoziata a questa situazione per evitare un'ulteriore escalation.
Abbiamo bisogno di alcune soluzioni strutturali per assicurarci che il nostro commercio non sia influenzato in modo massiccio da questa situazione e che possiamo essere una sorta di forza stabile in questa turbolenza globale creata dagli Stati Uniti".
La parte europea ha trovato costruttiva la conversazione. La parte cinese è stata un po' meno effervescente e ha detto che ci sono ancora dei grossi problemi con la politica commerciale europea. Ma in ultima analisi, se si considera l'Unione Europea come un unico grande mercato, l'UE, gli Stati Uniti e la Cina sono i tre grandi blocchi commerciali. Ogni anno si scambiano merci per centinaia di miliardi. Il fatto che due su tre stiano parlando apertamente a livello di leadership di soluzioni ai problemi commerciali è incoraggiante. Certo sembra strano che gli USA spingano l’Europa verso un maggior dialogo con la Cina.
È difficile dire ora come andrà a finire, la telefonata dell'UE è stata principalmente difensiva:
"Non vogliamo che questa situazione si traduca in un massiccio afflusso di merci cinesi nell'UE"
E per quanto riguarda la Cina, c'è sicuramente la possibilità che le relazioni diventino un po' più calde. Tuttavia le questioni fondamentali sul commercio che c'erano prima, rimangono.
Apple
Le azioni di Apple sono su un vero ottovolante da quando si parla di dazi, ha perso circa 700 miliardi$ di valore di mercato nell'ultima settimana. È stata una delle aziende più colpite, perché il suo iPhone è in gran parte costruito in Cina. La soluzione? Puntare maggiormente sulla vicina India.
La storia di Apple in India risale a parecchi anni fa, ma ha iniziato a muoversi davvero all'epoca della pandemia, quando molte delle sue catene di approvvigionamento in Cina hanno dovuto chiudere a causa delle restrizioni COVID. Da allora, l'azienda ha costruito una presenza sempre maggiore in India, dove ora ci sono cinque stabilimenti attivi per l'assemblaggio di iPhone. Anche alcuni fornitori chiave di Apple hanno aperto nuovi stabilimenti in India negli ultimi mesi. È evidente che sono in corso sforzi per spostare la catena di approvvigionamento di Apple nel lungo termine, per coprire il rischio che deriva dalla dipendenza di Apple dalla Cina.
L'India è molto più conciliante nei confronti di Trump rispetto alla Cina. Quindi le prospettive che l'India possa raggiungere un accordo commerciale sembrano più sicure in questa fase. Non solo, ma secondo le stime degli analisti, circa 30 dei 50 milioni di iPhone esportati ogni anno negli Stati Uniti potrebbero tecnicamente provenire dall'India, ma al momento non è così. Una soluzione a breve termine all'impatto dei dazi sulle importazioni cinesi di Apple è quindi quella di fare perno sull'India e destinare la produzione di iPhone al mercato statunitense per ridurre l'impatto sui prezzi nel breve periodo.
Ma ci sono problemi di ogni tipo: centinaia di componenti entrano a far parte di un iPhone nel punto finale di assemblaggio, e la stragrande maggioranza di essi viene da Cina o Taiwan. Questo diventa di per sé un problema, perché se da un lato si può assemblare un iPhone in India, dall'altro bisogna comunque importare i componenti e la manodopera qualificata in India per contribuire a costruire queste catene di fornitura estremamente complesse. E la Cina può tirare delle leve per rendere tutto più difficile. E, in effetti, lo sta facendo.
Trump vorrebbe che Apple possa semplicemente produrre negli Stati Uniti. Chi segue da vicino le catene di fornitura Apple dice che è impossibile, ma questo non ha impedito all'addetto stampa della Casa Bianca di ribadire questa settimana l'idea che gli Stati Uniti possano diventare un centro di assemblaggio di iPhone.
Anche se gli Stati Uniti iniziassero a costruire gli iPhone nel loro territorio, dovrebbero comunque importare tutti i pezzi che compongono l'iPhone e anche questi potrebbero essere soggetti a dazi, quindi è un vero incubo calcolare quanto costerebbe ad Apple. Secondo una stima di Wedbush, spostare anche solo il 10% delle catene di fornitura negli Stati Uniti costerebbe ad Apple circa 30 miliardi $ nell'arco di tre anni.
Aggirare i dazi
Si chiamano strategie di valutazione. Sono quelle di cui i consulenti sono più entusiasti di parlare ai loro clienti. Si abbassa il valore doganale, cioè l'importo che si registra sul modulo doganale come valore dell'importazione, così che la percentuale della tariffa si applica su una cifra inferiore.
Una delle strategie consiste nell'utilizzare un prezzo precedente nella catena di approvvigionamento, eliminando i ricarichi che gli intermediari hanno aggiunto al costo dell'importazione. Questa è una strategia molto popolare al momento, e un'altra è quella di dividere le tasse che si pagano al fornitore. Se siete un fornitore, ad esempio, di whisky, gin o altro, e lo inviate negli Stati Uniti, l'importatore paga un prezzo per la bevanda. Ma l'azienda da cui la compra è anche proprietaria del marchio e si occupa di pubblicità, marketing e promozioni. Se l'importatore può pagare un prezzo inferiore per la bevanda stessa e poi pagare una tassa separata per il marketing e la promozione, è possibile eliminare i costi di marketing e promozione. £ si paga un dazio minore sulla bevanda importata.
Tutti questi elementi si sommano nel tempo, creando risparmi piuttosto consistenti, anche del 20-25%. È sicuramente complesso, esistono regole di comportamento ben consolidate per decidere quale sia il prezzo equo di un'importazione. Quindi bisogna attenersi a queste regole, e naturalmente si può spingere quando c'è margine per farlo, ma le dogane diventeranno sempre più severe.
Le imprese vivono nell’incertezza di quanti di questi dazi si applicheranno. Riorganizzare la catena di approvvigionamento, spostare le forniture da un Paese all'altro, sono mosse importanti e permanenti. Mentre le politiche possono essere annullate o messe in pausa dopo pochi giorni dall'annuncio. Le aziende sono quindi restie a prendere decisioni importanti e immutabili in questo momento, e le strategie di valutazione diventano così più appetibili.
Fondi sovrani
Anche l'Indonesia sta creando un fondo sovrano, che assumerà il controllo di tutte le imprese statali del Paese. Questo megafondo da 900 miliardi$ si chiama Danantara e sarà uno dei più grandi fondi sovrani del mondo.
Danantara reinvestirà i dividendi di queste aziende, valutando una serie di opportunità. Si tratta principalmente di investimenti nel settore manifatturiero in Indonesia, ad esempio nel settore batterie e veicoli elettrici. Questi sono i settori che Danantara sta valutando per il suo primo ciclo di investimenti.
Si parla di 8-10 miliardi $ all'anno da reinvestire. Ma l'esperienza di 1MDB, il fondo sovrano malese da cui sono stati sottratti miliardi di dollari, suggerisce attenzione sulla governance. L'Indonesia vuole che il suo nuovo fondo sia come Temasek, il fondo sovrano singaporiano di grande successo.
Uno dei principi base è di gestirlo con gli standard di governance di una società quotata. Quindi ci sarà trasparenza, divulgazione, revisione contabile e tutte quelle cose che normalmente servono per assicurarsi che una società sia gestita correttamente. Hanno anche annunciato un comitato consultivo con alcune figure di alto profilo, come Ray Dalio, il fondatore di Bridgewater Associates; Jeffrey Sachs, noto economista dello sviluppo; Thaksin Shinawatra, l'ex primo ministro della Tailandia; e credo che tutto questo faccia parte di uno sforzo per rassicurare i mercati sul fatto che sarà gestita bene e che gli investimenti che faranno saranno attentamente ponderati e consigliati da esperti.
Le principali preoccupazioni sono che abbia un effetto distorsivo sul bilancio indonesiano. Ad esempio, se costringessero le imprese statali ad aumentare i loro dividendi per far sì che Danantara abbia più soldi da investire, ciò sarebbe dannoso. Inoltre, prima i dividendi delle imprese statali andavano al bilancio nazionale, quindi si crea uno sbilancio con le spese e il buco deve essere colmato in qualche modo. Ma la posta in gioco è così alta, vista la quantità di denaro in gioco, che credo che tutti pensino che sia molto importante fare le cose per bene.
Il valzer dei dazi
Le tariffe “reciproche”, già rimpiazzate da dazi generali del 10%, complicano i calcoli per le imprese che pianificano.
L'aliquota tariffaria media del 24% fa degli Stati Uniti il Paese con le tariffe più alte al mondo, superando paesi come l'Iran e il Venezuela, con aliquote medie rispettivamente del 12 e del 14%. In realtà, non c'è nessun Paese con una popolazione superiore a 1 milione di abitanti e un reddito pro capite pari a almeno un quarto di quello statunitense che abbia un'aliquota tariffaria media superiore al 10%.
L’attuale livello dei dazi USA, se confermato, comporterebbe comunque una riduzione sostanziale del volume delle importazioni e delle esportazioni. Gli americani si troverebbero di fronte a prezzi più alti, a una qualità inferiore e a uno spostamento verso posti di lavoro peggiori nelle industrie che sostituiscono le importazioni, rispetto a quelli a più alta produttività nelle esportazioni e nei servizi.
Trump ha parlato di possibilità di esentare dai dazi singole società americane di importazione, con un criterio “a mio intuito personale”. Sembrano i prodromi di un clima da sistema autoritario, dove le imprese di successo sono quelle che ottengono i favori dal leader.
Quando le imprese non sono sicure di quale sarà la politica futura, aspettano che questa si risolva prima di prendere decisioni di investimento importanti e irreversibili. Il risultato è una riduzione degli investimenti e della crescita.
L'incertezza non è solo il timore che accada qualcosa di negativo. Riflette invece la variabilità dei risultati futuri. Negli ultimi 50 anni, l'aliquota tariffaria media non è mai cambiata di più di un punto percentuale in un solo anno. Nella maggior parte degli anni, non sono cambiate di più di un decimo o due. Vista l'aliquota tariffaria media degli USA, anche con un presidente meno irregolare e più prevedibile, serviranno molti anni per tornare alla “normalità” commerciale.
L'opzione migliore sarebbe che il Congresso si riprendesse il potere di stabilire i dazi, il che le renderebbe almeno più prevedibili che lasciarle ai capricci di una sola persona.
Riduzione di potenziale
I grandi investimenti per la produzione negli USA sono a rischio. Alcune delle grandi aziende del cosiddetto Progetto Stargate, guidato da SoftBank, prevedevano piani per investire enormi somme nei centri dati degli Stati Uniti. Anche Apple e Nvidia si sono impegnate a investire circa 500 miliardi $ ciascuna negli Stati Uniti da quando Trump è salito al potere. SoftBank si è impegnata separatamente a investire 100 miliardi $. Anche la TSMC di Taiwan, il più grande produttore di chip al mondo, si è impegnata a investire 100 miliardi. E poi ci sono molte altre aziende che hanno promesso di investire somme leggermente inferiori, ma comunque nell'ordine dei miliardi $.
Gli investimenti potrebbero però essere ridotti, perché per queste aziende i costi aumenteranno: i prezzi dei loro fattori di produzione o delle cose che importano negli Stati Uniti saliranno. E quando tutto costerà di più, i consumatori statunitensi non potranno permettersi di acquistare tante cose e quindi la domanda diminuirà. È cresciuta quindi la preoccupazione che i dazi di Trump possano causare una recessione negli Stati Uniti.
Il Giappone è la prima fonte di investimenti esteri negli Stati Uniti e il primo ministro giapponese, Shigeru Ishiba, lunedì ha espresso forti preoccupazioni sul fatto che le misure tariffarie degli Stati Uniti potrebbero indebolire la capacità di investimento delle aziende giapponesi.
Un buon weekend in musica, ancora una volta con un album di musica americana, ricordando i tempi in cui gli USA erano il portavoce dei valori occidentali:
Confermo la sensazione ( forse molto di più che una sensazione) che i “billions of dollars” strombazzati da Trump non sono per l’ America ma stanno già entrando nelle tasche dei suoi amici e sodali tramite il probabile più gigantesco insider trading mai avvenuto, come ho cercato di rappresentare in un grafico nel mio Substack di ieri.
Grazie Alieno, come sempre. Nessuno mi toglie dalla testa che trump fa sto casino con i dazi solo perché scommette in borsa e guadagna milioni ogni volta... ha fatto lo stesso con le criptovalute. Complimenti vivissimi agli americani che lo hanno votato. Ora tocca a tutti pagare il prezzo di questa decisione scellerata.