La settimana dell'Alieno #100
Rassegna delle notizie economico-finanziarie del 16-20 Giugno 2025
Tassi USA
La Federal Reserve ha mantenuto i tassi di interesse invariati, come da attese. Ma la cosa più importante è che la banca centrale ha tagliato le sue prospettive per l'economia statunitense. La Fed rilascia previsioni trimestrali, quindi la scorsa volta in cui le ha rilasciate eravamo prima del caos del "giorno della liberazione" di inizio aprile.
Il declassamento delle previsioni di crescita per quest'anno (ora la crescita stimata per gli USA è 1,4%) indica un dato sostanzialmente più debole rispetto a quello del 2024, mentre l'inflazione sarà più alta di quanto si stimasse a marzo: il livello atteso è 3%, ben oltre il loro obiettivo del 2%. E la disoccupazione è destinata a peggiorare, pur se il mercato del lavoro statunitense sarà piuttosto forte.
Lo schema in cui si traccia la posizione di tutti i membri del Federal Open Market Committee, il cosiddetto "dot plot", mostra che la proiezione mediana non è cambiata molto: continua a indicare due tagli di un quarto di punto entro la fine dell'anno. Ma ciò a cui abbiamo assistito è un vero e proprio allargamento delle vedute tra i membri della commissione. L'ultima volta, a marzo, erano in pochi a prevedere che quest'anno non ci sarebbero stati tagli dei tassi di interesse. Ora, con le prospettive dell'inflazione che sembrano peggiorare, molti funzionari della Fed - ben sette - pensano che non ci sarà spazio per tagliare i tassi di interesse quest'anno. E questo è piuttosto significativo.
Per quanto riguarda l'inflazione, l’ultima lettura dei dati dei prezzi è stata migliore di quanto molti temevano. Tuttavia, ci vorranno almeno alcuni mesi per vedere l'impatto dei dazi. E c'è ancora molta incertezza sulla dimensione finale di quei dazi. Quindi le imprese devono ancora decidere quanta parte della tariffa pagheranno per sé e quanta ne scaricheranno sui clienti.
Trump ha nuovamente chiesto tagli dei tassi, non di un quarto di punto, ma di due punti percentuali; ritiene che la Fed sia troppo lenta, ma c'è così tanta incertezza su ciò che i dazi faranno all'economia che essere un po' pazienti sembra l'approccio giusto.
Anche la Banca d'Inghilterra ha mantenuto i tassi di interesse invariati (al 4,25%), anche se viene da un taglio di un quarto di punto percentuale della riunione precedente, a maggio. E il motivo per sospendere i tagli e mantenere il tasso attuale è stato l'inflazione, le cui prospettive sono rese più complicate dal conflitto tra Israele e Iran, che potrebbe avere un forte impatto sui prezzi globali dell'energia.
Israele - Iran
Il conflitto tra Israele e Iran per i mercati finanziari significa prima di tutto energia: il prezzo del petrolio è stata la prima cosa a reagire dopo gli attacchi sferrati da Israele. E anche gli attacchi sono sembrati particolarmente mirati a impianti di trattamento del gas e di raffinazione, oltre che grandi depositi di carburante nella capitale Teheran. Sono state colpite parti dell'infrastruttura energetica destinate alle forniture interne.
Israele in pratica, dopo aver preso il controllo dello spazio aereo, sta cercando di interrompere e distruggere le infrastrutture critiche per impedire alla società iraniana di funzionare normalmente e per impedire qualsiasi tipo di risposta militare.
L'Iran ha risposto cercando di fare lo stesso con Israele, lanciando missili contro la più grande raffineria di petrolio di Israele, ad Haifa. Il prezzo del petrolio è salito nelle prime ore dell’attacco, per poi tornare indietro: non ci sono segnali di crisi di offerta a livello internazionale, i problemi sembrano molto più localizzati.
Ma ci sono molte cose che potrebbero turbare ulteriormente i mercati: non sembra esserci alcuna distensione né alcuna via per allentare la crisi attuale, anzi Trump ha abbandonato il G7 dicendo chiaramente che non si va verso un cessate il fuoco. Nel 2019 l'Iran, messo alle strette, ha interrotto circa la metà della produzione petrolifera dell'Arabia Saudita dopo aver lanciato un attacco contro una grande raffineria nel Paese. Inoltre, il conflitto sta iniziando a colpire le catene di approvvigionamento globali. I prezzi delle assicurazioni per le navi che attraversano lo Stretto di Hormuz vicino all'Iran stanno salendo alle stelle, segnano già +60%. Lo Stretto è una rotta fondamentale per il petrolio greggio. Nessun missile è stato lanciato contro una nave, ma gli assicuratori sono preoccupati per la sicurezza nella regione. Le navi che attraversano lo Stretto di Hormuz devono affrontare molte minacce, tra cui gli attacchi dei ribelli Houthi sostenuti dall'Iran. L'aumento del rischio potrebbe far sì che alcuni assicuratori smettano del tutto di offrire copertura.
Come siamo arrivati qui? Occorre fare un passo indietro: nel 2015 venne firmato da USA, Cina e UE l’Accordo sul nucleare con l’Iran (JCPOA) che limitava l’arricchimento dell’uranio in cambio di benefici economici e riconoscimento internazionale.
Nel 2018, Trump esce dall’accordo, dicendo che l’Iran non stava rispettando l’accordo (cosa smentita dalla Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica, l’ente preposto a vigilare sul rispetto dello stesso), preferendo appoggiare l’Arabia Saudita anziché l’Iran come partner regionale. Perché preferisce gli affari con Mohamed bin Salman, al punto che quando viene assassinato il giornalista dissidente (e residente americano) Jamal Kashoggi ad ottobre del 2018, prima Trump tenta di insabbiare le responsabilità del principe saudita come mandante, dopodiché eroga sanzioni di facciata.
La conseguenza dell’uscita dal JCPOA è che l’Iran si riavvicina a Cina e Russia, fino a formare con loro un solido Asse. Dopodiché riprende e accelera l’arricchimento dell’uranio e torna a finanziare il cosiddetto “asse della resistenza” di gruppi di terroristi armati.
Parallelamente si attivano i negoziati di normalizzazione tra Israele e Arabia Saudita, che è uno dei 30 paesi ONU che non riconosce Israele e questo con ogni probabilità spinge Hamas ad agire ad ottobre del 2023. Il gruppo terroristico, finanziato dall’Iran, cerca di evitare il riavvicinamento saudita-israeliano, per costringere l’Arabia Saudita a schierarsi -di fronte a un conflitto- con il Libano e gli altri membri della Lega araba. D’altra parte la normalizzazione di Israele, nel mondo islamico, è diventata velocemente una posizione insostenibile con tutto quello che è successo dopo il 7 ottobre 2023.
Trump parla di “accordi” e di “trattative” ma i presupposti che lui stesso ha creato li rendono complessi e forse anche impossibili. Le crisi geopolitiche hanno sempre radici profonde e se le politiche sono miopi il risultato lo si vede dopo anni. Ne stiamo vivendo un esempio.
“momento Nanni Moretti” al G7
Il G7, l'incontro dei principali paesi industrializzati, si è riunito in Canada con Trump impegnato in una guerra commerciale con ciascuno degli altri membri. E mentre si affrontano discussioni cruciali a livello globale, Trump decide di abbandonare il vertice. Ha detto che aveva un posto più importante dove andare, che voleva tornare a Washington per affrontare il conflitto tra Israele e Iran.
Mentre i leader, di comune accordo, hanno chiesto una de-escalation del conflitto in Medio Oriente, Trump ha pubblicato dichiarazioni molto più bellicose. Tra l’altro, a proposito di politica estera, Trump avrebbe dovuto incontrare il leader ucraino Volodymyr Zelenskyy a margine del G7, il giorno seguente, martedì.
L'incontro non ha mai avuto luogo. Una cosa grave, dal punto di vista diplomatico, dopo aver fallito ogni tentativo di mediazione tra russi e ucraini e aver attaccato il G7 e i particolare l’ex presidente canadese Trudeau per aver espulso la Russia dall'alleanza:
Nota storica: la Russia è stata espulsa dal G8 nel 2014, in seguito all'annessione illegale della Crimea. Trudeau è stato eletto presidente del Canada nel 2015.
Alla fine di questo mese si terrà il vertice NATO all'Aia. Si tratta di un incontro molto importante per l'alleanza occidentale, e sul tavolo c’è anche il tema del disimpegno americano dalla NATO. È una minaccia che Trump ha già espresso in passato, e il suo comportamento al G7 sta facendo scattare qualche campanello d'allarme in Europa.
A cosa serve il G7? Sappiamo qual è lo scopo del WTO (l'Organizzazione Mondiale del Commercio), ma cosa fa esattamente il G7? Forse è un'occasione per i leader dei paesi democratici di incontrarsi, di costruire una relazione interpersonale su un certo livello di fiducia personale.
Quali politiche globali possono definirsi in un incontro a cui non sono previsti i brasiliani, i sudafricani, i cinesi, gli indiani? Se si vuole creare una sorta di comitato per governare l'economia mondiale, è abbastanza ovvio che ci sarebbe bisogno di queste persone, non può emergere una strategia economica globale se i protagonisti più importanti non sono presenti.
Il comportamento di Trump mina dunque le fondamenta di questo incontro, perché snobbare partner ed incontri, e anzi assegnare “colpe” in mondovisione (per giunta sbagliando riferimenti e date), non aiuta a costruire alcuna fiducia personale.
Questa newsletter ha due edizioni settimanali (ogni venerdì la Settimana dell’Alieno, scritta da
Andrea, e ogni lunedì quella sulla puntata del podcast
Economia per Tutti, scritta da
Giulio.
Andrea
Talvolta ad “scappa” una terza edizione sporadica, di approfondimenti specifici. Puoi trovare l’
archivio integrale delle newsletter precedenti qui.
Oro
L'oro, dopo aver registrato un rialzo storico nel 2025, ha ufficialmente superato l'euro come seconda riserva più importante al mondo. Il metallo prezioso costituisce ora circa il 20% delle riserve globali.
Il prezzo dell'oro è al massimo storico in termini reali (al netto dell'inflazione), segna +30% da inizio anno e +100% in due anni, in conseguenza dell’accumulo fatto delle banche centrali, in particolare nei mercati emergenti, con acquisti record negli ultimi tre anni.
L'arrivo di Trump alla Casa Bianca ha introdotto incertezza e sollevato interrogativi sul dollaro statunitense, spingendo gli asset manager, gli investitori al dettaglio e le banche centrali ad un ulteriore sprint per accaparrarsi l'oro, il bene rifugio tradizionale; così come bene rifugio sarebbe il dollaro, ma sempre più investitori stanno iniziando a mettere in discussione lo status di bene rifugio del dollaro.
Investitori e banche centrali prevedono di continuare ad acquistare oro quest'anno e anticipano che le loro riserve in dollari statunitensi diminuiranno nei prossimi cinque anni, l'accumulo di oro rappresenta quantomeno una sorta di copertura contro il dollaro USA.
Si apre un ulteriore tema, da questo punto di vista, questi acquisti massicci di oro generano una questione stoccaggio: alcune banche centrali prevedono di immagazzinare più lingotti a livello nazionale, anziché a Londra e New York, che sono i due maggiori depositi al mondo.
Le tensioni geopolitiche generano preoccupazione sul potenziale rischio per le banche centrali di non poter accedere all'oro immagazzinato all'estero in caso di crisi o di sanzioni. Ne è sorta una tendenza, modesta ma non insignificante, al rimpatrio e allo stoccaggio di oro a livello nazionale.
L'anno scorso l'India, ad esempio, ha rimpatriato più di 100 tonnellate di oro dalla Banca d'Inghilterra, e anche la Banca Centrale della Nigeria ha rimpatriato parte delle sue riserve.
Nelle ultime due settimane, con il prezzo dell’oro ai record storici e dunque a rischio di essere un po' sopravvalutato in questo momento, c'è stato un interessante rialzo anche del platino e dell'argento, altri due metalli preziosi, che godono anche di una grande domanda industriale: il platino è utilizzato nei catalizzatori automobilistici e nella gioielleria, mentre l'argento è utilizzato in molte applicazioni industriali, nella gioielleria, nei pannelli solari e nei veicoli elettrici.
Deadline in arrivo
La sospensione di 90 giorni dei dazi del “giorno della liberazione” è stata annunciata il 9 aprile, quindi scadrà il 9 luglio. Cosa succederà?
La guerra commerciale è piena di tappe, Trump ha introdotto, sospeso, modificato i dazi “reciproci” ma ha anche introdotto, sospeso, modificato dazi su singoli settori: semiconduttori, acciaio e alluminio, auto… Il risultato, ad oggi, è che il livello globale dei dazi è passato dai livelli tariffari più alti degli ultimi 100 anni ai livelli tariffari più alti… degli ultimi 90 anni.
Il 9 luglio, il contesto protezionista potrebbe peggiorare, con i dazi provvisori del 10% che potrebbero tornare al 20%, per l’Europa, e ad altri livelli per altre economie. Il beneficio che Trump percepisce è quello di sentire di avere il potere di tenere una spada di Damocle sospesa sul mondo, in una sorta di anarchia nella politica commerciale dove in sostanza lui può spadroneggiare individualmente.
Il presidente americano ha già dato a intendere che lascerà che scattino i termini della fine del periodo di sospensione, così ritiene di spingere gli altri a pietire la sua clemenza.
Nulla più di questo sta facendo rivalutare, in tutti i paesi del mondo, l’ipotesi di partnership e accordi commerciali con la Cina: negli ultimi mesi i cinesi sono stati molto più corretti degli Stati Uniti nel rispettare gli accordi.
L’altro effetto è quello di produrre avvicinamento reciproco tra tutti gli altri: la Gran Bretagna e l'UE hanno trovato un dialogo concreto di riavvicinamento, il Canada dialoga molto più apertamente con gli europei. La ritorsione del mondo contro gli Stati Uniti è una questione interessante e molto diversificata.
Il Regno Unito si è prestato a concludere accordi, mentre la UE -anche senza stringere accordi- non ha scelto la ritorsione diretta; la Cina invece ha scelto di giocare duro e di rispondere colpo su colpo, imponendo a sua volta dazi, o limitando le esportazioni di terre rare e batterie, cose che gli Stati Uniti non hanno la base industriale per produrre in questo momento, per ottenere la marcia indietro di Trump (che naturalmente mentre arretra canta vittoria).
Gli Stati Uniti sono da tempo il garante globale della stabilità, il loro impegno a rispettare le regole aiuta tutti gli altri a fare altrettanto, se la frammentazione commerciale che proviene dagli Stati Uniti si replicherà nel mondo, i costi di produzione di tutto aumenteranno.
Per quanto riguarda i rapporti tra Stati Uniti e Cina, il braccio di ferro è una scelta pericolosa: è più facile per la Cina usare (liquidare) le proprie riserve in dollari per compensare la possibile perdita di posti di lavoro che per gli USA creare una base industriale con personale qualificato che non si possiede.
Prove di accordo commerciale USA-UE
L'Unione Europea sta spingendo per un accordo commerciale con gli Stati Uniti e vuole modellarlo sull'accordo commerciale che il Regno Unito ha concluso con Washington (anche se per la verità si tratta di una intesa in vista di un accordo). Bruxelles sta correndo per arrivare a un punto prima del 9 luglio, giorno in cui dovrebbero tornare in vigore i dazi doganali del cosiddetto “giorno della liberazione” di Trump.
L’accordo commerciale britannico mantiene in vigore i dazi reciproci del 10% ma prevede alcune deroghe ai dazi sulle automobili e ad altri dazi settoriali da lui imposti. Difficile che la UE possa avere condizioni migliori del Regno Unito, considerati i rapporti storici speciali tra USA e UK.
Il settore auto, in particolare, causa grandi tensioni: i paesi europei esportano molte automobili negli Stati Uniti e ne importano poche. L'acciaio è un altro argomento molto delicato negli Stati Uniti, dove da tempo sono in vigore dazi doganali su questo prodotto. Quindi, in questi settori, l'UE spera di fare ciò che ha fatto il Regno Unito, con un dazio ridotto o forse addirittura senza dazi o con un'aliquota del 10%.
La politica commerciale dell'UE è gestita dalla Commissione europea, che è una sorta di autorità centrale. Gli Stati membri devono approvare a maggioranza azioni come la conclusione di accordi commerciali o l'adozione di misure punitive. Ad aprile concordarono una ritorsione con dazi per un valore di 21 miliardi, ma la ritorsione fu sospesa. Più questa situazione di dazi USA e ritorsione sospesa da UE si protrae, più l'industria dell'UE viene esclusa dal mercato statunitense, mentre l'industria statunitense non subisce alcuna discriminazione.
Si crea quindi una relazione asimmetrica in cui alcuni Stati membri dell'UE spingono per dire che se non otterremo qualcosa entro il 9 luglio, dovremo reagire. Ma altri Stati membri sostengono che in realtà si tratterebbe di un autogol. Perché imporre dazi sulle importazioni e rendere le cose più costose per le nostre aziende e per i nostri consumatori?
Nessuno a Bruxelles crede che torneremo alle relazioni che avevamo prima dell'ascesa al potere di Trump, ovvero dazi sostanzialmente assenti se non su alcuni prodotti sensibili, come i prodotti agricoli. Ma non sono solo gli Stati Uniti a creare problemi. Anche la Cina sta causando non poche difficoltà: la sovraccapacità cinese inonda sia mercati statunitensi sia quelli dell'UE, che vorrebbe proteggersi un po' di più dalla Cina, oltre che esportare laggiù i propri prodotti manifatturieri per avere un'alternativa al mercato statunitense.
La guerra commerciale sta cambiando le reti di relazioni commerciali mondiali: se sei in Canada, in Australia o in India e vedi che il mercato statunitense ti sta chiudendo le porte, cerchi di stringere accordi con altri. L'UE non è diversa e sta cercando di trovare mercati alternativi per i propri prodotti che non saranno più ben accetti negli Stati Uniti.
Riflessione da centesima puntata
L’idea che possiamo usare la conoscenza per migliorare il benessere umano, non è “naturale”: durante l’evoluzione umana non esisteva alcuna conoscenza che potesse essere utilizzata per ridurre le infezioni, diminuire le guerre tribali o prolungare la vita. Al massimo potevamo tramandare esperienza personali, comportamenti che empiricamente sembravano vincenti.
Anche l'idea che il bene supremo sia la vita delle persone non sembra così “naturale”: ogni guerra, dai Cartaginesi a Putin, mostra come la morte di centinaia di migliaia di persone (a cui si aggiunge la distruzione di scuole, ospedali, abitazioni… con tutto il danno postumo che ne deriva) sono un prezzo che gli umani sono disposti a pagare per la gloria della Nazione o -nel caso di Putin- per vendicare l'umiliazione dell'Unione Sovietica.
Anche se queste idee non sono “naturali”, dovremmo sostenerle e ricordare quanto potenziale contengono. Nella “Teoria dei giochi” emerge la “tragedia del bene comune”: una situazione di stallo in cui ciò che è razionale per tutti fare, peggiora la situazione di tutti quando tutti lo fanno.
“Devo credere a questo o devo credere a quello?”
La Teoria dei giochi ci mostra come di fronte a questo tipo di dubbio siamo incentivati a schierarci e che di solito scegliamo quello che sceglie la maggioranza delle persone del gruppo a cui sentiamo di appartenere, perché sostenere la tesi opposta trasmette che si ritiene che gli altri siano stupidi e/o malvagi.
Purtroppo questo meccanismo si realizza anche quando si dubita. Questo produce polarizzazione: si formano, su ogni tema, due fazioni, ciascuna delle quali è razionale nel senso che ottiene il rispetto dei propri amici, compagni, colleghi, ma il risultato per la società nel suo complesso è negativo, perché produce “tribù” in guerra tra loro invece di una collaborazione per la ricerca della verità.
Anche il mondo dell’informazione sembra risentire di questo problema: sempre più spesso ciò che si legge sui mezzi di informazione sembra aver messo da parte l'impegno verso la verità, a vantaggio di slogan che fanno apparire la propria parte sotto una luce positiva, perché prevale il giudizio morale sulla propria visione di “bene comune”.
In un mondo di movimenti identitari, partiti populisti, leader nazionalisti e fondamentalisti religiosi, può capitare che perdiamo la percezione che la civiltà riesce a procedere, ma solo con un andamento irregolare: così come dubitiamo di un progresso scientifico, fino a negare l’evidenza del beneficio aggregato dato dai vaccini, molte credenze superstiziose sono state ormai emarginate, dimostrando che col tempo finiamo per convincerci dei benefici del progresso. Di schiavitù, per fortuna, non ne discutiamo più, mentre esiste ancora un possibile ritorno di fiamma per idee come la privazione dei diritti alle donne, la criminalizzazione dell'omosessualità, le classi differenziate nelle scuole, l’accesso a vari livelli di istruzione a pagamento.
In tempi duri anche le democrazie sono pronte a “sporcarsi le mani” per sopravvivere e vincere. Accetti di collaborare con democrazie a rischio (Polonia, Turchia, India, ecc.) per contenere Cina e Russia. E così più cresce la minaccia globale, più si sacrificano i principi democratici per ragioni strategiche. Un contesto di rivalità profonde e prolungate porterà l'Occidente ad accettare restrizioni di libertà, coercizioni economiche e tolleranza verso abusi di potere, pur di non cedere spazio "al nemico".
Ma questo non significa che la civiltà sia destinata a recedere indefinitamente, invece che procedere avanti, e che si debba tornare a riscoprire idee che davamo per sepolte, ma (anche da investitori) è importante non demoralizzarsi e poggiarsi sulla Storia e sulla logica, per trovare fiducia nella forza del progresso e della civiltà: siamo in un’era di negoziazioni, e i valori umanistici hanno una sorta di vantaggio intrinseco: si possono difendere “gratis” durante una negoziazione, perché preferiamo tutti essere vivi piuttosto che morti, essere sani piuttosto che malati, essere istruiti piuttosto che ignoranti e analfabeti.
C'è una lunga lista di cose che condividiamo perché siamo esseri umani, nonostante tutte le nostre differenze di razza, religione, etnia e nazionalità: anche se non è “naturale” nel nostro codice evolutivo, la forza di questo vantaggio intrinseco finisce sempre per prevalere su pulsioni più estemporanee. Ritengo importante ricordarcelo anche quando tratteggiamo scenari di sviluppo economico.
Acciaio giapponese
La giapponese Nippon Steel finalmente riesce a realizzare il suo obiettivo: compra US Steel, che aveva accettato di acquistare quando era in difficoltà nel dicembre 2023, per quasi 15 miliardi $.
Dopo anni di permessi negati, per effetto di opposizione sindacale e dell’opposizione di Biden per ragioni di sicurezza nazionale, il presidente Trump ha approvato l'accordo.
Trump aveva fatto campagna contro l'acquisizione lo scorso anno, ma ora sta lasciando che vada avanti dopo che Nippon Steel ha accettato di concedere al governo statunitense una golden share: in sostanza, il governo degli Stati Uniti avrà un posto al tavolo nel processo decisionale aziendale della US Steel, che diventerà una filiale della Nippon Steel. Ed è ovviamente molto insolito.
Siamo abituati a pensare al settore privato come fatto di aziende libere di prendere le decisioni che vogliono, con il consiglio di amministrazione che risponde agli azionisti del suo operato. Il governo in genere ha tutt’al più delle azioni, non un posto al tavolo. Quando accade, è come conseguenza in occasione dei salvataggi, in particolare durante la crisi finanziaria: lo Stato compra azioni di General Motors o di Fannie Mae e Freddie Mac. La cosa interessante della golden share in questo caso è che non ci sono vantaggi economici speciali per il governo da US Steel.
Per operazioni straordinarie rilevanti, come questo accordo, l’avallo del governo era già necessario, l'amministrazione Biden ha infatti intrapreso una lunga revisione e aveva deciso di porre il veto all’accordo per motivi di sicurezza nazionale.
Quindi, siccome anche l'amministrazione Trump era ostile all'accordo, se ha cambiato idea a fronte di questa unica variabile, dobbiamo attenderci che metterà bocca in altre situazioni? È chiaramente motivo di preoccupazione per le aziende americane, se questo diventerà una sorta di modello per altri tipi di fusioni. L'amministrazione Trump sta cercando di accentrare su di sé il potere di influenzare le decisioni aziendali?
Nell'acquisizione della Paramount da parte di Skydance, come nella fusione tra il PGA Tour e il LIV Tour, sostenuto dall'Arabia Saudita, Trump si è messo al centro delle trattative. Sembra normale che il dubbio, nel mondo corporate americano, cominci ad aleggiare.
Dal punto di vista di Nippon Steel, con i dazi imposti da Trump sull’acciaio in un mercato per loro molto rilevante, pagare un prezzo elevato per un’azienda attraverso cui saltare i dazi ne è valsa la pena. Ma anche in questo caso sembra che l’uso dei poteri presidenziali sia finalizzato alla creazione di potere personale del presidente.
(non) Regolare la AI
Le grandi aziende tecnologiche statunitensi stanno facendo pressioni per bloccare per 10 anni l’introduzione di alcune regole per l'intelligenza artificiale. Secondo alcuni studi, negli Stati Uniti sono state presentate oltre mille proposte di legge relative alla AI e le grandi aziende tecnologiche stanno spingendo per ottenere dagli Stati una pausa temporanea o un quadro di riferimento leggero per il loro settore.
I lobbisti di Microsoft, Amazon, Meta, Google, e delle altre principali aziende tecnologiche hanno fatto pressione sul Congresso per far passare questo blocco di 10 anni. L'intero dibattito è, in un certo senso, innovazione contro sicurezza. Da una parte ci sono le grandi aziende tecnologiche che ammoniscono sul rischio di perdere la strategica leadership nella AI; dall'altra ci sono gli impulsi a regolamentare il settore. E ogni Stato ha idee diverse su come regolamentare il settore.
La sospensione di 10 anni è già passata alla Camera e ora il dibattito è al Senato. Il senatore repubblicano del Texas, Ted Cruz, sta spingendo affinché la disposizione passi. Altri senatori Repubblicani ritengono che i singoli Stati debbano avere il potere di approvare le proprie norme sulla AI. I Repubblicani per approvare questa legge non avranno l'appoggio dei democratici, e quindi possono permettersi di perdere solo pochissimi voti.
L'industria tecnologica, comunque, sembra aver compreso che i rischi antitrust vanno affrontati con approccio preventivo, imparando le lezioni del passato, per non dover passare i guai che un tempo toccarono a Microsoft e più di recente Google.
Vita dura, a Mosca
La Russia potrebbe essere diretta verso una recessione, e a dirlo non è “la propaganda occidentale”, ma è quanto affermato dal ministro delle finanze russo che, per la prima volta, ammette gravi difficoltà economiche dall'invasione dell'Ucraina.
Finora l'economia russa è stata sostenuta da spese elevate per la Difesa. La spesa militare è aumentata del 25% lo scorso anno, portando a un basso tasso di disoccupazione. Ma il salto della spesa pubblica si è poi attenuato e l'inflazione persistente ha costretto la banca centrale a mantenere alti i tassi di interesse, con un conseguente aumento dei costi di finanziamento per le imprese.
Il presidente russo Vladimir Putin ha lasciato intendere all'inizio della settimana che gradirebbe un abbassamento dei tassi di interesse per rilanciare la crescita economica.
Pubblicità su WhatsApp
Meta sta introducendo la pubblicità a pagamento su WhatsApp. Si tratta di un piccolo cambiamento di rotta per il gigante tecnologico. Fino ad ora, infatti, aveva evitato di aggiungere annunci pubblicitari nell’app di messaggistica. Ma questa mossa fa parte di una strategia più ampia di Meta volta a generare nuovi ricavi e a puntare ancora di più sull'intelligenza artificiale.
Gli annunci pubblicitari, comunque, non saranno nelle conversazioni. Si troveranno infatti negli “stati” di WhatsApp, molto simili alle storie su Instagram. Per chi vuole crederci, Meta ha detto che si tratta di una richiesta “di lunga data” da parte delle aziende che vogliono poter interagire di più con i consumatori via WhatsApp. Come se servisse un alibi al legittimo desiderio di monetizzare.
La pubblicità è già molto presente su Instagram e Facebook. Ora WhatsApp, che è la piattaforma di comunicazione più popolare al mondo, potrà avere annunci pubblicitari da mostrare a miliardi di utenti. Non male per Meta, che sta investendo una quantità enorme di denaro nella AI. L'azienda ha i propri modelli, ma questi modelli sono stati considerati un po' indietro rispetto ad alcuni dei modelli leader, quindi Meta è sotto pressione per dimostrare che i suoi modelli possono essere altrettanto validi e competere davvero con gli altri presenti sul mercato.
Non a caso, Meta sta tentando di soffiare i migliori ingegneri-programmatori a OpenAI, offrendo a ciascuno di loro un “bonus di benvenuto” da 100 milioni di $. Che Facebook sia in ritardo rispetto al contesto non è una novità. In fondo, il motivo per cui ha cambiato nome in Meta era mostrarsi à la page, dicendo che il suo obiettivo principale sarebbe diventato il Metaverso, i mondi virtuali in cui tutti avremmo interagito. Questo obiettivo si è sostanzialmente ridimensionato (una moda passeggera è stata così mal interpretata da ispirare un cambiamento definitivo di nome) a favore della AI e l'azienda ora sta investendo ingenti somme in questo settore: 72 miliardi $ in data center e server e 15 miliardi $ in Scale AI, principalmente per assicurarsi che il suo CEO, Alexandr Wang, potesse unirsi al suo team.
Il contesto, nel frattempo si complica, la guerra commerciale a colpi di dazi incide sull'accesso all’hardware e ad alcuni dei chip che sono alla base di molti di questi modelli di intelligenza artificiale. E poi ci sono gli ostacoli normativi da superare. In Europa abbiamo l'EU AI Act, che sta entrando in vigore, e potenziali normative anche in altre parti del mondo.
Curiosità
Blaise Metrewel è la prima donna a guidare il Secret Intelligence Service britannico (MI6) nei suoi 116 anni di storia. La Metrewel precedentemente ricopriva l’incarico di capo del dipartimento tecnologico dell'agenzia.
Uno studio del MIT ha messo insieme 4 mesi di studio sull’impatto dell’utilizzo di AI: le connessioni neurali degli utenti intensivi di ChatGPT calano del 47%. Un’altra prova di atrofia cognitiva è stata ottenuta chiedendo di scrivere senza l'AI, con risultati peggiori degli utenti intensivi rispetto alle persone che non avevano mai utilizzato l'AI. Come un muscolo che ha dimenticato come funzionare.
Il team del MIT ha realizzato scansioni per 4 mesi: il danno cerebrale causato dall'uso eccessivo della AI è misurabile e concreto.
ChatGPT velocizza del 60% la realizzazione, ma riduce del 32% il “carico cognitivo pertinente” necessario per l'apprendimento effettivo.
In pratica chi si affida alla AI paga in capacità cerebrale a lungo termine per avere in cambio velocità di realizzazione nel breve termine.
Secondo un altro studio, questa volta a cura dell’OCSE, con corrette politiche, la AI può aiutare a ridurre le disuguaglianze, le discriminazioni e i rischi di sicurezza, favorire la competitività e l’accessibilità, aiutando a risolvere questioni come la cattiva allocazione dei posti di lavoro.
Un buon weekend in musica, con il nuovo singolo di Avil Kaplan e le sue sonorità da domenica mattina, per una colazione base di caffé e qualche sfiziosa delizia che in settimana non c’è tempo di concedersi
Buon #100! Well deserved. Spunti come sempre interessantissimi👏🏻👏🏻👏🏻