Attaccarsi alla forma delle leggi, strumentalizzandole per i propri fini, è una pratica legale piuttosto diffusa. E la questione del tetto al debito (“debt ceiling”) in USA appartiene a pieno titolo alla categoria di leggi di cui rimane solo la forma a cui qualche opportunista può aggrapparsi.
Il deterioramento dell’immagine della politica e delle relazioni internazionali è un trend in corso da molti anni, diventa difficile definire con precisione cause ed effetti (il rischio di invertirli esiste) ma senza dubbio, negli anni, a fianco di questa trasformazione abbiamo assistito ad una crescente polarizzazione delle posizioni all’interno del Congresso americano.
Per chi non lo sapesse, gli Stati Uniti hanno un meccanismo disfunzionale in cui il Congresso determina le spese e le entrate federali, ma poi, se queste portano a un deficit di bilancio, deve votare una seconda volta per autorizzare il prestito per coprire il deficit. Se anche una sola camera del Congresso si rifiuta di aumentare il limite del debito, il governo degli Stati Uniti andrà in default, con effetti finanziari ed economici catastrofici.
Questo strano aspetto del bilancio consente a un partito sufficientemente spietato e indifferente al disastro che potrebbe provocare, di tentare una estorsione politica all’amministrazione in carica, ottenendo qualcosa che non sarebbe mai in grado di attuare attraverso il normale processo legislativo.
Già nel 2011, per mettere in difficoltà l’amministrazione Obama, i Repubblicani usarono l’aggiornamento del debt ceiling come strumento di ostruzione politica, finendo per provocare la perdita del rating AAA da parte dell’agenzia S&P (che ancora oggi assegna rating AA+ ai titoli del Tesoro americano).
In un contesto simile lo strumento migliore per l’amministrazione in carica diventa la pressione esterna, che si ottiene agitando lo spauracchio dello sviluppo peggiore, ribadendo fino alla noia davanti ai media che sarebbe assurdo e irresponsabile far fare default agli USA per beghe di potere, mentre lo strumento migliore della controparte diventa quello di mostrare sicurezza dicendo
“Siamo certi che la Casa Bianca saprà concludere un accordo che soddisfa tutte le parti entro gli stretti tempi rimasti”
"Penso che un Presidente americano debba concentrarsi sulle soluzioni per l'America. Credo che questo dimostri i suoi valori e le sue priorità"
"Non capisco: sembra che il Presidente faccia riunioni per dire che le ha fatte. Non per trovare davvero una soluzione".
E’ facile vedere l’approccio fiducioso, quanto lo scarico di responsabilità sugli altri. Col passare dei giorni la fiducia su una risoluzione positiva e indolore della faccenda debt ceiling sta calando:
La data precisa in cui il “tetto” verrà toccato non è chiarissimo, ci sono stime che individuano la data in luglio, ma un interessante articolo pubblicato sul sito della Università della Pennsylvania spiega che i mancati introiti da imposte sui capital gain (frutto delle difficoltà sui mercati finanziari) suggeriscono di anticipare la data cruciale, come peraltro ha fatto Janet Yellen dichiarando che la questione va risolta entro il 1 Giugno. Anche se la data in cui il Tesoro esaurirà le sue manovre contabili speciali potrebbe essere "un certo numero di giorni o settimane più tardi" rispetto all'inizio di giugno.
Quindi il tempo non è molto e il potenziale disastro sarebbe enorme. Ma pochi sembrano stimare un esito intermedio tra la risoluzione indolore e il disastro totale, mentre l’esperienza suggerisce che queste situazioni si concludono quasi sempre in un punto intermedio tra i due estremi.
Perciò… parliamone
I repubblicani chiedono ampi tagli alla spesa come condizione per il disegno di legge, l’idea è azzoppare Biden in proiezione delle elezioni presidenziali dell’anno prossimo: i suoi piani di spesa (Chips Act, Inflation Reduction Act e cancellazione dei debiti studenteschi) sono riforme molto caratterizzanti e mutilarle sarebbe politicamente significativo. I democratici propongono altre misure di contenimento fiscale che il Partito Repubblicano rifiuta senza nemmeno discuterle, né è disposto a sentir parlare di aumento della pressione fiscale per coprire il deficit.
Già da gennaio il Tesoro USA sta adottando misure di contabilità speciale per rimanere entro il tetto di 31.400 miliardi di dollari previsto dalla legge.
Un potenziale stallo politico sulla risoluzione aggrava la minaccia già presente di una recessione, il precedente del 2011 è indicativo: sui mercati si scatenò una tempesta e la volatilità fece emergere fragilità inedite sui titoli di Stato globali: quella fu l’estate in cui “nacque” lo spread sui titoli PIIGS, con Grecia e Italia particolarmente nel mirino della paura degli investitori.
E’ improbabile che la questione si risolva senza una certa volatilità, i funzionari di Biden alla fine siano costretti dall’intransigenza repubblicana ad adottare metodi non convenzionali. Vogliamo “divertirci” facendo qualche ipotesi?
Se il tira e molla andasse avanti senza soluzione, una possibilità già evocata altre volte in passato è quella di far produrre alla zecca di stato una moneta di platino dal valore nominale di 1 trilione di dollari e metterla nel bilancio del Tesoro, allontanando sensibilmente i conteggi dal fatidico “tetto”.
Lascio al vostro intuito immaginare che tipo di precedente potrebbe crearsi con uno sviluppo simile: la toppa sarebbe peggiore del buco, un “liberi tutti” per la spesa affidato alla politica nel momento in cui questa si mostra irresponsabile. E’ una opzione che Janet Yellen ha già escluso di essere disposta a mettere in atto.
Ma allora cosa resta?
Il possibile sviluppo che abbiamo davanti, come paventato da Terry Duffy, presidente e CEO del Chicago Mercantile Exchange (il mercato globale di riferimento per trattare commodities e derivati): il Tesoro potrebbe trovarsi nella necessità di ritardare il pagamento di cedole e scadenze di titoli del Tesoro per continuare a far arrivare pressione esterna sui Repubblicani.
Ma cosa comporterebbe questa scelta?
I Treasury Bill sono lo strumento più usato per il deposito cauzionale dei margini nell’operatività in derivati. Rimandare i pagamenti, rendendo illiquidi i margini depositati costringerebbe le piattaforme a chiedere agli investitori di correggere le esposizioni o depositare nuovi margini. Tecnicamente questa cosa si chiama “Margin Call” e se vi suona familiare un motivo c’è:
La maggior parte degli operatori ha un portafoglio diversificato, dove i titoli del Tesoro USA sono in prevalenza, perché più affidabili, liquidi, interscambiabili… In altre parole nessuno ha altrettanta “altra roba” per sostituire i T-bill messi a margine. L’unica opzione diventerebbe quella di smontare le posizioni aperte.
Quella che si scatenerebbe, quindi, sarebbe una Margin Call globale su tutte le categorie di asset, tutti i settori di tutti i mercati azionari del mondo.
Non sto dicendo che accadrà, ma anziché preoccuparci per “il default degli USA” (che potrebbe avvenire solo dopo un lungo percorso di episodi e interventi tampone, e comunque non ha ragioni logiche per avvenire) o accantonare la questione perché tanto un default degli USA non può accadere, conviene valutare quello che può accadere nel mezzo.
Il momento di riparare il tetto è quando il sole sta splendendo.
[The time to repair the roof is when the sun is shining].
John Fitzgerald Kennedy, State of the Union Address, 1962
PS: i riferimenti televisivi-cinematografici di questa newsletter, per chi li riconosce, hanno il solo intento di rendere più gradevole la lettura. Il titolo dell’articolo è un omaggio al libro di Bob Odenkirk, la cui lettura di recente ha allietato le mie serate.