Finalmente Mattel si è svegliata, e ha deciso di seguire il modello di Disney, sfruttando il cinema per rilanciarsi e dare visibilità ai propri prodotti. Non si può dire che non ne avesse bisogno:
Il film di Barbie è un product placement continuo, ad alto tasso di ironia (ci si diverte e si ride spesso), e da parte di Mattel è anche un esercizio perfino eccessivo di autoironia: si mostrano ipocriti, una azienda che si dichiara attenta ai valori femminili, ma con un board tutto al maschile (mentre nella realtà il board di Mattel è composto da 13 persone, di cui 6 sono donne).
Il film inizia acclarando cosa ha reso Barbie rivoluzionaria: la prima bambola con cui, invece di giocare a fare la mamma con un bambolotto, le bambine potevano trasferire se stesse in un avatar e immaginarsi donne, proiettarsi in un mondo di relazioni e autonomia, di opportunità di lavoro e di amicizie.
E questo gioco di proiezioni, con le inevitabili divergenze fra Mondo di Barbie (“Barbieland”) e Mondo Reale diventa l’ambientazione della storia.
Nel più classico e solido binario del “viaggio dell’eroe” Barbie ci mostra la sua consuetudine quotidiana nel suo mondo, che viene sconvolto da un problema inatteso, la protagonista viene allora chiamata a intraprendere una avventura per risolvere il problema, inizialmente si mostra restìa, poi trova un mentore che la guida, affronta la prova, ottiene la ricompensa, ritorna nel suo mondo lottando fin quasi a soccombere, ma ristabilendo l’ordine originale, e infine si dimostra cambiata dall’esperienza e con una nuova dote.
Nessuna deviazione dal modello.
Nel compiere il percorso, ricalcando qua e là il “Truman show” e finendo su “Pinocchio” ed il suo desiderio di diventare un bambino vero, non mancano godibili e divertenti allusioni, e certamente aver scelto una attrice che è fisicamente una “Barbie” in carne e ossa e un co-protagonista come Ryan Gosling, sex-symbol del momento, ha portato parecchia energia nella pellicola, specialmente perché i due attori sono molto inclini all’autoironia, che è la cifra stilistica costante del film.
Quello che mi aspettavo è che Barbie fosse un film che avesse come obiettivo quello di conquistare la nuova generazione e gridare “Barbie è tornata” a tutte le bambine del mondo. E anche Barbie nel film pensa di dover cercare il proprio alter ego in una ragazzina. Invece entrambi abbiamo dovuto prendere atto che il target del film, colei che interagisce con Barbie, è una donna.
Ero condizionato dal parallelo con Disney, che con il controverso “episodio 7” cercò di catturare una nuova generazione di appassionati al mondo di Star Wars riproponendo la storia della trilogia originale (un piccolo robot contiene una mappa segreta che insospettabili eroi sfrutteranno per sconfiggere il male, mentre i dissidi padre-figlio si risolvono in modo cruento) in una variante moderna, ad un ritmo narrativo più sostenuto.
Invece “Barbie è tornata”, sì, ma per le donne che ci hanno giocato e che sono oggi invitate a riscoprirla, e a riscoprire se stesse per capire quanto siano riuscite a realizzare nella loro vita i sogni che proiettavano nel mondo di Barbie quando erano ragazzine. E’ alle donne, alle mamme, che il film parla suggerendo, tutt’al più, di giocare con le loro figlie con la Barbie.
In generale, il prodotto è realizzato con attenzione, fa leva su un cast di primissimo livello, ha una colonna sonora importante (c’è anche Billie Eilish tra gli artisti coinvolti) e rappresenta un rilancio di immagine per me riuscito.
Si sono presi un rischio importante, portando al cinema il loro personaggio-emblema (una cosa che Disney non fa: il film di Topolino, un eventuale flop sarebbe devastante), ma è il rischio di chi si è svegliato tardi. Hai un asset pregiato e cerchi di valorizzarlo.
Forse il problema di Disney è proprio questo: non crea asset pregiati da molto tempo, ormai, e si ritrova a riproporre vecchie storie, magari in versione “politically correct”, oppure a comprare portafogli di storie di raccontare (come LucasFilm e Marvel). Una evidente crisi di creatività, che lo sciopero degli sceneggiatori (e ora anche degli attori) metterà ancora più in luce.
Altro che Artificial Intelligence.
Tre cose di Barbie sono rimasti per me misteri insoluti:
La separazione tra Barbieland e Mondo Reale è molto netta sia dal punto di vista cromatico che dal punto di vista del comportamento dei rispettivi “abitanti”. Non capisco però perché il consiglio di amministrazione di Mattel si comporti in modo goffo come fosse composto di bambolotti anziché di persone del “Mondo Reale”
Barbie, nella prima metà del film, incontra una signora anziana si scambiano uno sguardo d’intesa, Barbie le dice “sei bellissima” e lei risponde “lo so”. Sembra l’inizio di qualcosa, un indizio di uno sviluppo successivo, ma della signora non avremo più traccia. Resta un mistero perché quella scena sia rimasta così, e chi era quella saggia signora.
Il finale rappresenta per me un errore. Se “Barbie è tornata” non si può chiudere il film alludendo ad una nuova caratteristica (che peraltro non penso proprio che sarà nelle nuove bambole Mattel), quando tutto poteva chiudersi più coerentemente con un colloquio di lavoro.
Sei andato a vedere Barbie da solo o in compagnia? 🙄