La settimana dell'Alieno #63
Rassegna delle notizie economico-finanziarie del 08-12 settembre 2024
BCE
Come da attese ampiamente scontate nei prezzi, la Banca Centrale Europea ha tagliato ieri i tassi di interesse di 0,25% implementando anche una riduzione del differenziale fra tasso di deposito e tasso di rifinanziamento da 0,5% a 0,15%. Ora i tassi ufficiali in Europa sono:
Tasso di deposito: 3,5%
Tasso di rifinanziamento: 3,65%
Marginal lending: 3,9%
Le nuove previsioni mostrano che la crescita economica in Europa sta rallentando, mentre le proiezioni sull’inflazione sono state riviste al rialzo a causa dell’aumento dei prezzi dei servizi, superiore alle attese.
La BCE stima una crescita di appena lo 0,8% quest'anno. E ha anche rivisto al ribasso le stime per il 2025, portandole all'1,3%. Dopo la decisione di ieri, il presidente della Banca Centrale Europea Christine Lagarde ha lasciato intendere che potrebbero essere in arrivo altri tagli dei tassi; il mercato oggi ne stima sei da qui a un anno, con il tasso di deposito al 2%.
Rapporto Draghi sulla competitività della UE
La crescita economica inclusiva è l’obiettivo che la UE dovrebbe perseguire, concentrandosi sui pilastri della prosperità: competitività sostenibile, sicurezza economica, autonomia strategica (mettendo fine alle dipendenze) e tutela della concorrenza.
L'Europa come ambiente protetto, dove tutte le imprese abbiano le stesse possibilità di successo e la facoltà di prosperare. Un concetto da coniugare con il solido sistema di diritti che contraddistingue l’Europa.
Anche se l’Europa è la zona del mondo da cui provengono la maggior parte di presunti “studi” sulla decrescita, studi che però non hanno solide basi scientifiche e sono più che altro frutto di visioni ideologiche, con poca attinenza alla realtà empirica.
Mario Draghi - ex Presidente della BCE - è stato così incaricato dalla Commissione europea di preparare un rapporto sul futuro della competitività europea, che si occupi di esaminare le sfide che l'industria e le imprese devono affrontare nel mercato unico.
Lo scopo del rapporto è di fare da spina dorsale per il lavoro della Commissione su un nuovo piano per la prosperità sostenibile e la competitività dell'Europa. In particolare, allo sviluppo del nuovo Clean Industrial Deal per industrie competitive e posti di lavoro di qualità, che sarà presentato nei primi 100 giorni del nuovo mandato della Commissione.
Sui giornali si è parlato molto della parte più ambiziosa, quella che richiede fino al 4% del PIL europeo da finanziarsi con strumenti di debito comune. Personalmente credo sia difficile che la fase attuale possa configurarsi come crisi sufficiente a giustificare un intervento così profondo, per giunta con uno strumento di funding collettivo, immaginato nel rapporto, considerando l’orientamento politico divergente tra i 27 paesi europei. L’idea -suggerita nel rapporto- di creare un nuovo asset finanziario “sicuro”, cioè il debito comune europeo, non è abbastanza attraente da determinare questa svolta.
La frammentazione su base nazionale è un problema che si riflette anche sulle politiche industriali, rendendo più macchinosa l’attività d’impresa su dimensione europea e riducendo la competitività dell’Europa rispetto a USA e Cina se si guarda a grandi strumenti di finanziamento per progetti comuni, col risultato che i progetti con esternalità positive per l'intero blocco spesso non vengono realizzati per il timore di impatti negativi di singoli paesi.
Per una efficace politica industriale serve un coordinamento sulle politiche fiscali (per incentivare la produzione), sulle politiche commerciali (in questo mondo di dazi) e politiche estere per garantire le catene di forniture. Ma in Europa tutto questo è diversificato nelle diverse identità nazionali che non solo impediscono operose sinergie, ma a volte si ostacolano reciprocamente.
Il rapporto cerca di identificare i settori a cui dare priorità: tecnologie digitali, transizione ecologica, industria pesante e settore auto. Su questi settori andrebbe trovata una linea comune, affinché possano accedere a nuovi meccanismi di finanziamento a livello europeo sia per capitalizzarsi che per le spese operative.
Ai dazi lineari che potrebbero imporre gli USA di Trump, nell’ipotesi in cui venga ri-eletto, Draghi suggerisce di rispondere con selettività: tutela della produzione locale in alcuni ambiti, e incentivi agli investimenti esteri in altri.
L’amico Carlo Alberto Carnevale Maffè ha pubblicato su X una sua disamina, condita di abbondante amarezza. Potete leggerla per intero qui
Se invece volete leggere il rapporto Draghi in originale per studiarlo, come il prof Carnevale Maffè suggerisce, lo trovate sul sito della Commissione Europea, vi agevolo comunque il link.
Unicredit, prova di forza
La banca italiana UniCredit ha acquisito una partecipazione del 9% nella tedesca Commerzbank. La mossa è vista come un precursore di una possibile acquisizione, che potrebbe portare a un'ondata di consolidamento nel settore bancario europeo.
Dopo un paio di anni di bilanci da record, UniCredit ha molto capitale disponibile, il prezzo delle sue azioni è cresciuto notevolmente (è più che triplicato in due anni, pagando anche dei generosi dividendi). Ora avrebbe individuato Commerzbank come target per una operazione di M&A.
Al momento Commerzbank è poco valutata e questo significa che UniCredit può permettersi di fare un’offerta con un premio, come dovrebbe fare in un'acquisizione, senza rinunciare ad ottenere un buon ritorno sull'investimento. Inoltre, UniCredit ha già una banca in Germania: la HypoVereinsbank. Ciò significa che se acquista Commerzbank, avrà due banche in Germania e questo rende più facile tagliare i costi perché si può utilizzare parte dell'infrastruttura di una banca per gestire l'altra.
Questa prospettiva ha messo in allarme i sindacati in Germania, che temono le sinergie perché fanno emergere degli esuberi di personale. L'Europa ha un sistema bancario frammentato e che trarrebbe beneficio da istituti di credito più grandi e dalla presenza transfrontaliera (un pensiero va al rapporto Draghi, di cui parliamo più avanti, che lamenta la carenza di dispositivi finanziari transnazionali in UE).
UniCredit ha acquistato dal governo tedesco metà della quota in Commerzbank (il 4,5%). Questo è potenzialmente un segnale positivo sull’apertura a realizzare l’affare, anche se i vertici di Commerzbank dichiarano di avere allo studio un piano per difendersi dalla scalata, la prima mossa sarà avvalersi della consulenza di Goldman Sachs.
Gli istituti di credito europei hanno avuto una grande ripresa dal 2022 grazie alla risalita dei tassi. Molti di loro sono meglio capitalizzati, stanno facendo meglio in termini di risultati, hanno risolto molti dei loro problemi. Quindi questo potrebbe essere un momento in cui il consolidamento acquista velocità. UniCredit, con la sua operazione su Commerzbank, potrà essere l’evento spartiacque perché se le autorità di regolamentazione, i politici e tutti gli altri si toglieranno di mezzo e la banca procederà con l'acquisizione, allora sarà un segnale positivo per altre operazioni di consolidamento bancario in Europa.
Google e Apple
L’opinione comune è che i titoli tecnologici stiano andando molto bene. Ma non è così vero. L'entusiasmo per l'intelligenza artificiale ha fatto da traino e spinto gli investitori a investire in aziende come Nvidia e Microsoft. Ma se si esclude l'intelligenza artificiale dall'equazione, le aziende tecnologiche come le società di software e di consulenza informatica, non crescono più come un tempo; il settore ha faticato a riprendersi dalla pandemia.
Ora gli investitori potrebbero iniziare a distaccarsi dai grandi titoli tecnologici per concentrarsi maggiormente su altri settori, anche perché le vicende normativo-giudiziarie iniziano ad accumularsi ripetutamente.
La causa intentata dal Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti verso Google per aver eliminato la concorrenza nella pubblicità digitale, abusando della propria posizione dominante, è andata a segno.
Google possiede la tecnologia che i siti web utilizzano per vendere gli spazi pubblicitari e possiede la piattaforma dove questi spazi vengono offerti. E poi possiede il software di cui gli inserzionisti hanno bisogno per accedere a quel mercato. Per parafrasare il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti, Google è acquirente, venditore e banditore. E sono troppi i conflitti di interesse.
La prospettiva di uno spezzatino è quantomai realistica: l'azienda ha già perso due cause molto simili, nell'ultimo anno.
Quanto a Apple, martedì la Corte di giustizia europea ha inferto un duro colpo: la Corte di giustizia europea ha ordinato di pagare 13 miliardi € di tasse arretrate per l’azienda che questa settimana ha presentato iPhone16.
La sentenza europea afferma che Apple ha ricevuto aiuti illegali dall'Irlanda attraverso una sorta di accordo fiscale di favore: un'aliquota inferiore all'1%, contrario alle norme dell'UE, in quanto non è giusto che un'azienda riceva un trattamento fiscale preferenziale.
La questione va avanti dal 2016 ma ora sembra giunta all’esito definitivo. L’Irlanda ha “investito” per attirare aziende multinazionali offrendo condizioni fiscali molto vantaggiose. Apple ha finanziato lo stile di vita della classe media di molti irlandesi nel corso degli anni. Ha investito nel Paese e dato lavoro a molte persone.
I 13 miliardi € non andranno però versati al fisco irlandese, che aveva concesso questi sconti asimmetrici, ma direttamente alla UE, perché queste asimmetrie hanno reso l’Unione la parte lesa della vicenda. Ragion per cui è venuto il tempo di dare un taglio a questo modo di intendere la concorrenza fiscale all’interno della UE. Già quest'anno è entrata in vigore un'aliquota fiscale minima globale, in base alla quale le aziende devono applicare almeno il 15% di tasse sugli utili societari nei Paesi Bassi e in altre giurisdizioni dell'UE, dove hanno modificato il trattamento fiscale in modo da renderlo più equo.
I guai di Tesla
Da anni Tesla considera l'enorme mercato cinese dei veicoli elettrici una parte fondamentale della sua strategia aziendale. Ma le vendite dei veicoli elettrici di Elon Musk si sono arenate: Tesla ha fatturato 9,2 miliardi nel primo semestre 2024 in Cina. Un calo rispetto ai 10,6 miliardi dell'anno precedente. A onor del vero, altre case automobilistiche straniere hanno registrato un calo molto più marcato. Ma la Cina contribuisce a circa la metà delle consegne globali dell'azienda. Ed è anche il mercato di gran lunga più grande al mondo per i veicoli elettrici.
Nell'ultimo anno in Cina c’è stata una massiccia crescita dei veicoli elettrici a marchio cinese, ma anche di veicoli ibridi, solo nell'ultimo anno un +90% delle vendite di ibridi plug-in.
E Tesla non sta pensando di orientarsi verso la produzione di un modello ibrido per competere meglio con i marchi cinesi, Musk sta puntando sulla tecnologia di guida autonoma, cosa sempre più complessa visto che dipende dall'approvazione da parte delle autorità, sempre più ostili alle imprese USA. Nel frattempo Tesla fatica a trovare nuovi fattori di crescita.
La perdita della crescita degli utili e dei ricavi in Cina è ovviamente problematica anche in prospettiva: man mano che Tesla entrerà in altri mercati, sarà seguita da aziende cinesi che stanno cercando di avviare la produzione in tutto il mondo. L’iniziale successo di Tesla in Cina è stato fondamentale per la crescita dell'industria cinese, che ora si prepara a sottrarre a Tesla il suo stesso mercato.
Allons enfants
La Francia ha chiesto alla Commissione Europea più tempo (rispetto alla scadenza prevista del 20 settembre) per presentare un piano di riduzione del deficit, insieme al progetto di bilancio per il 2025.
Il nuovo primo ministro, Michel Barnier, sta mettendo insieme un governo di coalizione. La situazione del debito pubblico della Francia non è buona: dall'anno scorso la Francia non sta rispettando gli obiettivi europei di spesa pubblica. In particolare, ha avuto problemi a contenere il deficit pubblico. Sembra che sarà così anche quest'anno.
I tagli al bilancio sono sempre una scelta complicata, politicamente, e questo avviene in un momento di grande incertezza politica. E questo sta creando molta incertezza sulla traiettoria di bilancio della Francia.
Durante la pandemia, il governo francese ha speso molto per proteggere i cittadini dalla crisi e finanziare i programmi di ripresa dell'economia, attingendo a nuovo debito. Poi c'è stata una crisi energetica in Europa e anche in questo caso la Francia ha fatto molto per proteggere i cittadini. Ci sono stati diversi anni di forti spese. Nell'ultimo anno e mezzo, Macron ha riconosciuto di dover iniziare a invertire la rotta e a stringere nuovamente la cinghia. Finora non sono riusciti a fare grandi progressi, serve qualcosa di più drastico per correggere la traiettoria della spesa.
Michel Barnier avrà quindi un compito molto difficile: il prossimo bilancio per il 2025, deve partire da ottobre, entro la fine di quest'anno. Il problema è che ha di fronte un parlamento completamente diviso: i partiti di sinistra sostengono l'aumento della spesa e hanno praticamente già detto che non approveranno alcun bilancio che preveda dei tagli, mentre la destra non ha ancora digerito il ribaltone elettorale ed è orientata ad ostacolare e contestare su più fronti.
Se la Francia non fosse in grado di risolvere questo problema di finanza pubblica nei tempi previsti, la UE dovrà scegliere come intende affrontare una situazione del genere, perché i mercati saranno senz’altro coinvolti. Potrebbe esserci un allargamento degli spread, vista la minor capacità della Francia di evitare una sorta di crisi del debito.
E per evitare di arrivare a una situazione in cui si inviano segnali negativi, i problemi potrebbero iniziare a crescere a spirale. Non siamo ancora a quel punto, ma a breve termine è probabile che la Francia chieda ai suoi partner in Europa un po' più di tempo per arrivare a formare un governo, che è la sua prima priorità. E vedere se riesce a proporre un piano praticabile, magari non troppo ambizioso, ma che sia in grado di superare, diciamo, i prossimi 12 mesi.
Intel
Ultimamente Intel sta attraversando un periodo difficile. Il prezzo delle azioni del produttore di chip statunitense è crollato negli ultimi mesi e ad agosto ha annunciato 15.000 licenziamenti. L'amministratore delegato dell'azienda dovrebbe annunciare presto ai membri del consiglio di amministrazione ulteriori misure di riduzione dei costi.
Intel ha avviato da poco più di tre anni un importante piano di rilancio per l'azienda, portato avanti dal CEO Pat Gelsinger, che prevedeva una fase di forte spesa (diversi miliardi $, in parte sussidiati) per la costruzione di fabbriche per la produzione di chip. Investimenti che dovrebbero ripagarsi con la crescita di fatturato nel settore dell'intelligenza artificiale - data center, ma anche in quello tradizionale dei processori per PC. Ma le proiezioni di vendita nel 2022 di Intel si sono rivelate estremamente ottimistiche sulle vendite di chip, la realtà si è rivelata diversa da quanto l’azienda aveva preventivato. E così i budget sono sballati, il fatturato è inferiore al previsto di alcuni miliardi di dollari e i costi vanno ridimensionati.
Nell'industria dei chip, lo standard di oggi sono le "fabless” company, che fondamentalmente non producono i propri chip ma li progettano i chip e poi inviano il progetto a un'azienda produttrice: tipicamente la Taiwan Semiconductor (TSMC), il leader del mercato.
Oggi Intel vorrebbe diventare un'alternativa a TSMC con sede negli Stati Uniti. Ma per farlo, ha bisogno di investire massicciamente dopo 20 anni di scelte strategiche errate (mancata separazione della produzione dalla progettazione e focus sui processori da PC trascurando gli smartphone).
Di fatto, è passata dall'essere la principale azienda di chip della Silicon Valley all’inizio degli anni 2000, ad essere parte del “gruppone”, parecchio distanziato dai leader (TSMC, Nvidia), nella corsa ai chip per l'intelligenza artificiale. Intel non è ancora in grado di competere in modo significativo in questo spazio.
A marzo Intel ha ricevuto un massiccio pacchetto di aiuti dal governo statunitense nell'ambito del Chips Act: un campione nazionale di produzione dei chip sarebbe molto gradito alla Casa Bianca. Ma all’atto pratico Intel deve ancora ricevere quel denaro: c'è un accordo preliminare in base al quale il governo statunitense le concederà 8 miliardi $ in sovvenzioni dirette e oltre 11 miliardi $ in prestiti agevolati per sostenere il suo importante piano di rilancio della produzione. Ma, se vuole ricevere quel denaro, deve rispettare gli impegni presi per la costruzione di questi impianti. Quindi le sue preoccupazioni finanziarie portano a preoccupazioni più ampie sulla direzione effettiva dell'intero piano.
Ciò che è a rischio è il più ampio interesse geopolitico degli Stati Uniti per la costruzione di una base produttiva di chip interna. Una delle cose che l'amministrazione Biden lamenta pubblicamente è il fatto che negli ultimi decenni la produzione di chip si è spostata in parti del mondo, in particolare a Taiwan, che non sono necessariamente sicure a causa della geopolitica cinese.
La posta in gioco è quindi innanzitutto politica: Intel è un'azienda considerata di importanza critica per gli interessi geopolitici degli Stati Uniti nei prossimi anni, “deve” farcela a completare questo turnaround aziendale, per non diventare un imbarazzo per un'amministrazione che ha già scommesso molto sul successo di Intel.
Gli ETF snaturano il mercato?
In un mercato finanziario sempre più dominato dagli ETF, essere parte di un indice rappresenta un grande vantaggio: questa settimana le azioni di Palantir e Dell, appena inserite nell’indice S&P500, hanno visto i loro titoli comprati con decisione, per il solo fatto di essere parte dell’indice che molti strumenti sono tenuti a replicare.
Essere estromessi da un indice azionario, di conseguenza, è un duro colpo per un'azienda. Ma gli instancabili ideatori di strategie “smart beta” che sono alla base degli ETF semi-attivi, provano a riconsiderare la cosa come un’opportunità. Tanto che stanno nascendo ETF innovativi, composti precisamente da titoli “scartati” dagli indici.
L’idea è di cogliere una dinamica tipica di mercato: quando le aziende vengono estromesse da un indice, le loro azioni vengono colpite da molti ordini di vendita, una dinamica uguale e contraria a quella descritta sopra per effetto dei movimenti di tutti i fondi passivi che devono replicare un indice. Quindi il loro prezzo scende drasticamente, e questo calo “artificiale” genera un’opportunità, visto che la dinamica degli utili della società coinvolta resta la stessa e dunque le sue azioni potranno riprendersi nel tempo.
Tantissimi risparmiatori, per ragioni varie, sono alla ricerca di strumenti a basso costo, tipicamente questo significa ETF. Con i fondi comuni attivi, infatti, il gestore fa ricerca, analisi, cercando di realizzare performance superiori al mercato, ma per tutto questo lavoro applica delle commissioni più elevate rispetto agli ETF, che non si caricano di fare alcuna scelta. La transumanza di tanti risparmi verso strumenti “passivi” (che replicano cioè laicamente un indice) sta alterando l’ecosistema dei mercati finanziari, provocando una spinta ad un adattamento darwiniano di chi vive in quell’ecosistema.
Curiosità
Il dibattito tra Trump e Harris ha prodotto pochi contenuti utili a comprendere le agende dei due candidati alla presidenza. La scena è stata catalizzata dalle ridicole convinzioni di Trump su stati USA che approverebbero l’aborto “all’ottavo o nono mese, e anche dopo la nascita” insieme al dramma delle persone che mangiano cani e gatti nella cittadina di Springfield, cosa a cui la sua avversaria non ha saputo evitare di reagire con una plateale risata.
Per chi fosse interessato alle “storie di business”
ha appena avviato un nuovo podcast con gli esempi delle più innovative aziende internazionali e le testimonianze delle imprese italiane.Quanta colpa hanno i deficit per l'inflazione? Uno studio di nuova pubblicazione individua un “moltiplicatore dell'inflazione” pari allo 0,18% di crescita del livello dei prezzi in due anni, per ogni 1% di deficit/PIL. I deficit del 2021 avrebbero quindi causato circa il 30% dell'inflazione del 2021-22, il che significa che i deficit sono stati importanti ma non l'unica causa.
“né di Destra, né di Sinistra” cose già sentite. Come difendersi dalle dicotomie? Un approccio filosofico, di
Parlando di dicotomie,
ci mostra come cercare alibi nei comportamenti delle imprese per deresponsabilizzarsi nei comportamenti individuali è un non-sense nella lotta al cambiamento climaticoBuon weekend in musica, con Screamin' Jay Hawkins, l'artista più trasgressivo e teatrale degli albori del rock. Nei concerti usciva da una bara, con in mano un teschio fiammeggiante di nome Henry. Pugile mancato, tentò di diventare cantante d’opera finì per fare rock: